Sostenibilità

Lo sviluppo non ha bisogno del nucleare

Ritorno al nucleare? Il dibattito di questi giorni, che vede anche un ex Greenpeace scendere in campo a favore dell’energia prodotta con i reattori, ha fatto riemergere posizioni differenti

di Matteo Bartolomeo

Ritorno al nucleare? il dibattito di questi giorni, che vede anche un ex Greenpeace scendere in campo a favore dell?energia prodotta con i reattori, ha fatto riemergere posizioni molto differenti su tre questioni chiave:

L?interpretazione del principio di precauzione.
La tradizione normativa dell?Europa continentale, per quanto riguarda le materie ambientali e quelle relative alla salute, si regge in larga misura su questo principio, regolamentando in materia restrittiva una serie di attività che potrebbero avere danni rilevanti e incontrollabili. Sono molti oggi a considerare che la bassa crescita dell?economia europea sia anche dovuta a un eccesso di garanzia a favore di consumatori e cittadini, a scapito di sviluppo e diffusione delle tecnologie più disinvolte e dinamiche. Questione di priorità dunque.

La questione del consumo di energia.
Il tasso di crescita dell?economia cinese e un?intensità energetica che fa fatica a diminuire anche nei paesi di post industrializzazione sono alcuni dei fattori che hanno fatto salire alle stelle il prezzo del greggio e riproposto il dibattito sul nucleare. Possiamo sostenere questi ritmi senza nucleare? Certamente no, e non saranno certo le fonti rinnovabili a garantire agli Usa almeno il 3% e alla Cina l?8% di aumento annuale del Pil. Ma la questione è mal posta: dovremmo invece chiederci quali siano i margini di ulteriore efficienza dei sistemi economici e quali siano le misure per cogliere queste opportunità. Abitazioni passive, più trasporto pubblico, maggiore riciclaggio dei materiali e tecnologie a bassa intensità di energia, insieme a comportamenti più attenti, possono sostituire centrali nucleari (ma anche quelle a carbone o quelle a fonti rinnovabili). Occorrono politiche più incisive, che scoraggino il consumo elevato di energia, magari basate su sistemi di tassazione, e meccanismi premianti.

Il problema delle emissioni di gas serra.
Abbiamo un protocollo di Kyoto, pur zoppo a causa degli Usa, che finalmente sta avendo qualche effetto in gran parte grazie al legislatore europeo, che ha creato il più grande mercato mondiale di commodity ambientali: i certificati di emissione di gas serra. Se questo sistema decollasse e venisse esteso anche a Giappone, Russia e Cina (oltre che agli Usa) avremmo chiari incentivi, validi a livello globale, non solo per la limitazione delle emissioni ma anche per la proliferazione delle fonti rinnovabili e per la conservazione e lo sviluppo delle foreste. Un sogno?
Di Matteo Bartolomeo, fondatore di Avanzi srl

Nessuno ti regala niente, noi sì

Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.