Non profit

Lo sviluppo non è un gioco di percentuali

All'indomani del blindatissimo G8 del Canada. La chiave per cambiare mentalità nei confronti dei Paesi poveri non è nei numeri ma nello sviluppo e nella cooperazione.

di Giuseppe Frangi

I nodi, anzi i numeri vengono al pettine. All?indomani del G8 blindatissimo svoltosi tra le montagne del Canada, quel che era chiaro e urgente un anno fa, è diventato ancora più chiaro e urgente per tutti. Anche per Silvio Berlusconi, il quale sa che un Paese civile non può continuare, con sovrana indifferenza, a calpestare il solenne accordo, preso ormai vent?anni fa in sede Onu, di destinare lo 0,7% del Prodotto interno lordo all?aiuto allo sviluppo dei Paesi poveri. Oggi il nostro Paese è ancorato a un umiliante 0,19%, fanalino di coda in un?Europa in gran parte inadempiente. Staremo a vedere quanto il prossimo Documento di programmazione economica confermerà gli annunci a effetto e avventati del nostro presidente del Consiglio. Come recita il documento presentato dal cartello dei cattolici del 7 luglio (quelli che a Genova , prima del G8, si appellarono alla coscienza dei potenti perché non procrastinassero più l?intollerabile ingiustizia economica che uccide 24mila persone ogni giorno), non occorre arrivare all?utopistico 1% promesso da Berlusconi in chiusura del vertice Fao. Basterebbe realisticamente stanziare subito lo 0,39%, obiettivo difficile ma possibile, come ha onestamente ammesso il sottosegretario Mantica, intervistato da Vita sul numero scorso. Ma percentuale più o percentuale meno, è soprattutto la mentalità che deve cambiare. L?aiuto allo sviluppo non è infatti un?elemosina, non è una devoluzione generosa per acquietare un po? di coscienze e tacitare i rumors che agitano il mondo. Fosse così sarebbero quasi soldi buttati. Non sono soltanto i numeri a venire al pettine. È una mentalità dal respiro cortissimo, che con l?ansia di garantire sicurezza, benessere e quindi consumi a una piccola fetta del mondo, alza continuamente dei muri. E poi pensa che, gettando al di là del muro qualche piccola percentuale delle proprie ricchezze, si sistemi ogni cosa. Non è così. Cambiare mentalità significa accettare finalmente che il nostro destino è legato al destino di quelle enormi masse di uomini che oggi campano ai limiti della sussistenza. Per scendere nel concreto: più ancora di quel miserevole 0,19%, è drammatico il vuoto di proposte in materia di cooperazione. La legge di riforma, che già l?improvvido governo del centrosinistra non riuscì a condurre in porto nella scorsa legislatura, giace nel dimenticatoio. E i pochi fondi stanziati finiscono tutti nel calderone multilaterale dell?Onu, rinunciando a una politica estera bilaterale e più lungimirante. Eppure la cooperazione è la questione chiave. è l?impegno che garantisce il salto di mentalità. Cooperazione significa progettualità; significa volontà di creare flussi di solidarietà e non solo di merci. Basterebbe guardare agli incredibili miracoli che la cooperazione non governativa italiana in questi anni di continua emarginazione è riuscita comunque a garantire, per capire quanto sia grande il suo patrimonio di risorse umane, di competenza, di capacità di farsi prossimi nelle situazioni più difficili. Cento bambini salvati dall?Aids in Zimbabwe o in Sudafrica sono una goccia nel mare dei 28 milioni di africani sieropositivi, secondo i recenti dati dell?Onu. Cento bambini tolti dalle favelas sono un niente, rispetto alla decine di migliaia di niños de rua che vivono senza un presente né un futuro. Ma l?idea che in questo nostro Paese qualcuno si sia occupato con generosità, competenza e intelligenza del destino di quegli uomini lontani e senza più destino, è un fatto troppo prezioso perché non si faccia di tutto per aiutarli a fare di più. La cooperazione non è un?idea astratta. è un insieme di storie e di esperienze umane che ostinatamente rendono concreto e reale un altro modello di vita e di sviluppo. Favorirli, favorire il fatto che tanti altri possano seguire la loro strada è la sola garanzia per rendere migliore il futuro. Anzi per renderlo possibile. A noi e quel grande mondo ricacciato al di là dei muri.


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