Mondo

Lo Sviluppo della Cooperazione

Il responsabile settore cooperazione di CIAI, Paolo Palmerini: «la cooperazione deve ricominciare a dialogare con la società»

di Paolo Palmerini

La riflessione sulla Cooperazione allo Sviluppo in Italia non può che partire dalla constatazione di una profonda crisi. Riconoscerla e accettarla non è un atto di disilluso disfattismo ma la lucida premessa per un cambiamento reale. È una crisi che si manifesta nelle parole. Ancora oggi usiamo categorie come “Paesi in via di sviluppo” o “Nord” e “Sud” assumendo una corrispondenza biunivoca con una geografia che di fatto non esiste più. Ancora oggi parliamo di “sviluppo”, pur criticandone una misurazione unicamente economica, ma senza essere riusciti a definirne chiaramente i contorni, facendoci trovare impreparati davanti ai paradossi della nostra retorica (è più sviluppato un bambino che passa i pomeriggi davanti alla playstation oppure un bambino che gioca con pezzi di legno con gli altri bambini del suo villaggio?). Ancora oggi gli attori della società civile riescono a definirsi solo per esclusione, tramite quello che non sono: “organizzazioni non-governative”.

Se la Cooperazione è espressione di una società ed a questa è strettamente legata, come in una coppia affiatata, possiamo dire che questa coppia, nata oltre quaranta anni fa, oggi si parla poco ed è in crisi.
Il dibattito attuale che si è sviluppato intorno al Forum di Milano è stato molto ricco e approfondito (chi scrive ha partecipato con entusiasmo al percorso preparatorio moderando i lavori del gruppo 10 su comunicazione e valutazione). Ma anche molto tecnico, quasi specialistico. Quello intrapreso dagli attori della cooperazione, nel corso degli anni, è stato un cammino di professionalizzazione importante che ha fatto crescere la capacità di rapportarsi a situazioni e problemi sempre più complessi, ma allo stesso tempo ha tecnicizzato, a volte in modo esasperato, il lavoro, con il rischio di portarlo lontano dai valori di solidarietà e uguaglianza che ne avevano costituito la spinta iniziale. Il rilancio della Cooperazione non è però solo una questione di linguaggio, come non è solo una questione di efficienza per un utilizzo migliore delle risorse, o una questione di creatività per identificarne di nuove; non è solo una questione politica per assegnare nuove priorità. È una questione identitaria, nel senso moderno di identità relazionale.    

È forse necessario oggi interrogarsi profondamente sulle ragioni di questa crisi prima ancora di iniziare a pensare delle soluzioni. E sarà importante farlo alla luce della realtà attuale, in così rapida e a volte drammatica mutazione. In preparazione al Forum e in parte su questo stesso giornale son già state dette e scritte cose molto condivisibili sull'importanza di dare nuovo vigore alla Cooperazione Italiana, riportandola innanzitutto al centro dell'agenda politica e identificando molti aspetti di un percorso concreto in questa direzione. Il nostro non vuole ripetere questi contributi, non vuole essere una nuova ricetta per combinare insieme gli stessi ingredienti, o un nuovo modello da seguire dogmaticamente. Ci poniamo però delle domande. Domande alle quali pensiamo la riflessione di questi mesi non abbia ancora dato una risposta, che invece sentiamo urgente trovare. Eccone alcune:

Cooperare è un'azione che riguarda le relazioni tra paesi? Ovvero, gli attori della cooperazione devono collocarsi innanzitutto all'interno del proprio sistema-paese? La realtà dei fatti attuali porta a rispondere: ovviamente si. Ma all'interno di questa situazione, ovvero rimanendo all'interno di un sistema di relazioni tra paesi è possibile pensare di uscire da una dinamica di aiuto? È possibile ingaggiare una reale riflessione sullo sviluppo dall'interno di queste relazioni? Forse potremmo provare a pensare la Cooperazione, il sistema Cooperazione, come un sistema di relazioni tra persone, tra genti. Da questa prospettiva probabilmente sarebbe più facile immaginare uno scambio realmente bidirezionale, non come do-ut-des, ma come costruzione di uno spazio comune di crescita e realizzazione.

È possibile lavorare per non esistere? Le grandi sfide globali come la “lotta alla povertà”, implicitamente fanno sperare che in un futuro non troppo lontano la povertà possa essere sradicata completamente dal pianeta, e noi che oggi lavoriamo per raggiungere quell'obiettivo dovremo quel giorno trovarci un altro lavoro. D'altro canto in questo come in altri settori, siamo quasi ossessionati dal raggiungimento di obiettivi di crescita. Viviamo una frattura, a volte solo inconscia. E’ possibile saldare questa frattura? Magari ricollocandoci non alla fine di un percorso ma nel suo svolgersi. La società che vogliamo e per la quale lavoriamo, è davvero una società dove non esiste la Cooperazione?  

È possibile fare Cooperazione senza affrontare conflitti sociali? I grandi problemi globali, ma anche quelli piccoli e locali, nascono da situazioni di ingiustizia e disuguaglianze. E' possibile innescare un cambiamento reale senza attaccare le cause che tali disuguaglianze hanno generato? La domanda può sembrare banale ma pensiamo a quanti progetti di Cooperazione hanno obiettivi che affrontano direttamente dei conflitti. C’è chi sostiene che gli obiettivi del millennio abbiano addomesticato la Cooperazione rimuovendo il conflitto sociale. E’ così? E’ possibile altrimenti?

Diamo più importanza alla felicità o alla speranza? Se è la felicità, cioè la condizione finale, lo sviluppo si definisce in base all'obiettivo che permette di raggiungere. Dobbiamo quindi interrogarci sulla felicità e definire un modello di sviluppo adeguato, che porti ad un concetto di felicità condiviso almeno da chi è coinvolto nel processo. Se invece è la speranza, allora quello che conta è la prospettiva innescata dal processo di sviluppo, non come promessa utopistica di uno status forse irraggiungibile ma come condizione di compiuta esistenza nell'universo della possibilità.

La Cooperazione, fatta di persone, deve forse ricominciare a dialogare con la società, ascoltando le sue risposte a queste ed altre domande. Potremmo magari trovarci a sostituire l’idea di Cooperazione Internazionale con Cooperazione Intercomunitaria, o quella di Cooperazione allo Sviluppo con Cooperazione alla Speranza. Quale che sia il risultato, è importante riaprire un dialogo tra le persone. E da questo dialogo nascerà, forse, una nuova idea di Cooperazione.
 

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