Welfare
Lo strano suicidio Fabiani
Un carcerato disabile sottoposto al regime duro, trovato impiccato alle sbarre della cella. Per le condizioni fisiche non poteva alzarsi dal letto.
Ancora ombre sulle carceri italiane. Mentre il numero dei detenuti suicidi aumenta in modo allarmante, (6 solo nei primi due mesi del 2000), torna a galla il caso di Antonio Fabiani, trovato morto il pomeriggio del 22 gennaio, nel centro clinico del carcere di Parma Una storia tragica, purtroppo emblematica, che Vita ha ricostruito passo per passo. Il caso, finito nel registro della procura di Parma e oggetto di un?indagine del Dipartimento dell?amministrazione penitenziaria, (conclusasi nei giorni scorsi), infatti suscita inquietanti interrogativi che non possono passare sotto silenzio. Antonio Fabiani era in carcere dal 1993 per scontare una condanna di dieci anni per rapina a mano armata. Alle 14 e 42 del 22 gennaio è stato trovato «quasi seduto a terra, gambe divaricate e cappio legato all?inferriata della finestra», come ha testimoniato l?agente penitenziario che ha scoperto il corpo inerte del detenuto. Il 15 gennaio, mentre è in corso una rivolta nel supercarcere di Parma, Fabiani invia un fax alla moglie (vedi box in questa pagina) in cui afferma: «Qualsiasi cosa avvenga, ricordatevi delle rotte (botte ndr) e fatemi fare l?autopsia». Quattro giorni dopo la moglie, cioè il 19 gennaio, Paola Attili, arrivata da Roma per fare il colloquio con il marito, non riesce a vederlo perché, le dicono, lui si rifiuta di vederla. La famiglia viene avvisata della sua morte il 23 gennaio dal commissariato della zona: sono passate già 48 ore. Alla moglie, basita dalla notizia, viene comunicato che il morto è deceduto 2 giorni prima e cioè il 21 gennaio e non il 22 come viene certificato successivamente. Fabiani aveva problemi di salute: una lesione ai menischi malcurata in carcere che lo aveva costretto alla carrozzella. «Quando è entrato in carcere», racconta la moglie, «camminava con le sue gambe. In seguito all?intervento in un centro clinico penitenziario in cui non c?erano le strumentazioni necessarie per operare i legamenti del menisco e alla mancanza di riabilitazione, è finito sulla carrozzella. A luglio, a causa delle sue infinite proteste per essere operato in un ospedale di sua fiducia, è finito in isolamento. Poi un giorno in cui l?ascensore è rotto, gli agenti, stufi di fare su e giù dalle scale con la carrozzella, lo chiudono in una stanza e vanno a mangiare. Lui ha inscenato una protesta e poco dopo sono arrivati in venti, lo hanno trascinato per terra con la cintura dei pantaloni e lo hanno massacrato di botte». Poi, sempre secondo la ricostruzione della moglie, Fabiani cede alle sue insistenze e decide di esporre una denuncia e quindi viene trasferito nel manicomio criminale di Aversa affinché non parli. Al suo ritorno, viene mandato a Parma, con regime detentivo restrittivo 14 bis e quater. Una nuova punizione? Paola Attili non ha dubbi. «È stato accusato di un fatto mai commesso, un litigio con un altro detenuto, per punirlo di nuovo». Poi la morte, apparentemente inspiegabile. «Posso dirle con certezza matematica che mio marito, con il suo carattere e la sua dignità, non si sarebbe mai tolto la vita». I dubbi sollevati dalla famiglia sono molti. Innanzitutto la lista della spesa: «Mio marito stava facendo lo sciopero della fame e della sete», aggiunge la signora Paola, «e il giorno prima di morire ha chiesto buste, carta da lettera, un block notes, francobolli. É forse questa la condotta di uno che si vuol ammazzare?». Poi la metodologia del suicidio. Il dubbio più intollerabile. In una lettera scritta da uno dei figli del Fabiani dopo la sua morte si legge: «Come poteva impiccarsi da solo con una corda fatta di calzini se non era in grado di reggersi in piedi, come dimostrano i certificati medici? E perché il 19 gennaio non ha voluto vedere la moglie? Se il suo rifiuto fosse stato vero, allora perché non le è stato mostrata la firma del rigetto del colloquio, come prevede la legge? Se tutto fosse come loro vogliono farci credere, forse ci avrebbe lasciato un biglietto d?addio. Probabilmente non ha avuto tempo…». E poi quel fax, inviato dal carcere. Parole che dimostrano il clima intimidatorio in cui viveva il detenuto. «Le parole contenute nel fax dimostrano che Fabiani era terrorizzato, che si trovava in uno stato di disperazione ed era soggetto a violenze fisiche e psicologiche», dice il deputato di Rifondazione Giuliano Pisapia, «È inammissibile che in uno Stato democratico ci siano istituti di pena in cui si adottino pratiche che possano indurre un detenuto a suicidarsi». Ma il responsabile dell?ufficio che si occupa del trattamento detenuti e chiamato a valutare le indagini sul caso, Francesco Gianfrotta spiega: «Dall?inchiesta non emerge nessun indizio circa l?eventualità di un omicidio colposo o l?istigazione al suicidio. Certo, si tratta di un suicidio anomalo anche perché Fabiani non aveva facoltà di compiere grandi manovre per passare dal letto all?inferriata». Quindi? L?amministrazione sembra avallare l?ipotesi di un gesto dimostrativo finito tragicamente. Restano gli interrogativi. Primo: il mancato colloquio con la moglie il 19 gennaio. Stando all?indagine ministeriale, Fabiani lo rifiuta per protesta perché voleva l?ausilio della carrozzella, mentre secondo il parere del medico poteva benissimo muoversi con le stampelle. Anche se la moglie ha più volte richiesto di riavere indietro le stampelle: invano. Secondo punto. La polizia l?avverte del decesso del marito solo 48 ore dopo. Perché? In base alla ricostruzione del Dap, gli agenti non trovavano il numero di telefono della famiglia (sic!). E infine il fax. Dall?indagine risulta che il 15 gennaio Fabiani ha spedito un fax indirizzato alla moglie, mentre nell?istituto era in atto una rivolta, ma il direttore dell?istituto successivamente nega. Conclusione? «L?incertezza della normativa penitenziaria ha sicuramente provocato molta tensione all?interno degli istituti», ammette il consigliere Gianfrotta, «le condizioni dei detenuti sono peggiorate e questa può essere la causa dell?aumento dei suicidi, ma escludo che in questo caso ci siano state responsabilità da parte del Dap». Morale? «Nutrire sospetti sul suicidio di Fabiani è una questione di onestà intellettuale», reagisce Francesca Scoppelliti di Forza Italia, «perciò mi associo ai ?perché della famiglia.Chiederò un?audizione della moglie alla sotto-commissione carceri del Senato per chiarire la vicenda e presenterò un?interrogazione al ministro Diliberto. Da due anni, nei penitenziari, stanno succedendo fatti inspiegabili, dovuti alla politica carceraria improntata a una logica punitiva, per tenere sotto controllo gli istituti con la forza e la violenza».
«Se muoio fatemi fare l?autopsia»
Sotto l?immagine di Antonio Fabiani con la moglie in un momento felice, pubblichiamo il testo del fax spedito dal supercarcere di Parma il 15 gennaio. Provato dallo sciopero della fame e dell a sete, Fabiani scrive alla moglie: «Trovami ristretto al carcere duro, provvedimento nei miei confronti con 14 bi s e 14 quater per ordine del ministero. Ma io di tutto l?accaduto sono all?oscuro, per cui avvertite l?avvocato. Sto facendo lo sciopero della fame e della sete. Qualsiasi cosa avvenga, ricordatevi delle rotte (botte, ndr) e fatemi fare l?autopsia. Non venire al colloquio, mandare soldi e cercate di interpellare avvocato del posto, fare qualcosa con i mezzi d?informazione». Poche righe, scritte in maniera sgrammaticata rappresentano il suo testamento. Una richiesta d?aiuto, rimasta inascoltata, che dimostra in maniera inequivocabile il clima di paura in cui viveva il carcerato prima della morte .
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