Cultura

Lo strano caso del non profit su The Apprentice

Nella sesta puntata del talent di Sky i concorrenti di Flavio Briatore si cimentano con una raccolta fondi allo Juventus Stadium. Ma, contrariamente alle altre puntate, quando si parla di non profit dal programma spariscono competitività e trasparenza. E a noi sorgono alcune domande...

di Lorenzo Alvaro

Si chiama The Apprentice. È l'ennesimo talent show della televisione. Dopo musica, cucina e letteratura, la tv italiana (in questo caso Sky Italia) può infatti vantare da un paio di stagioni un ricercatore di talenti in campo economico. A capitanare il gioco, nello slang del programma “il boss”, c'è Flavio Briatore. Tante e diverse le prove cui i concorrenti devono sottoporsi. Vendita, lancio pubblicitario, offerta di servizi e chi più ne ha più ne metta.

Nell'ultima puntata (la sesta della seconda serie) la prova, per la prima volta, era da giocarsi sul campo del no profit (Briatore e soci ignorano il fatto che si chiami non profit). In buona sostanza i partecipanti, divisi in due squadre, avrebbero dovuto organizzare, ospiti della Juventus FC allo Juventus Stadium, un'asta benefica i cui proventi saranno utilizzati per la costruzione del reparto di terapia intensiva e sub intensiva dell'Ospedale di Torino, progetto in capo alla Fondazione Crescere Insieme al Sant'Anna.

Nel paniere a disposizione dei concorrenti per l'organizzazione dell'evento ingredienti di prim'ordine: elenco di vip da contattare, una casa d'aste per imparare a gestire eventi di questo genere, ospiti e invitati all'evento a carico dei promotori.

In sostanza i concorrenti hanno dovuto solo andare a trovare porta a porta i personaggi famosi (da Saturnino a Linus, passando per Barbieri, Chiellini, Bonucci e Vialli) cui chiedere qualcosa da mettere all'asta e scegliere un frontmen per squadra che facesse da banditore.

Finita la prova, come prevede il format del programma, si torna da Briatore che, bilanci alla mano, decreta la squadra vincitrice (quella che ha fatto il profitto migliore) e sceglie chi della squadra perdente debba lasciare la competizione, con il celebre “sei fuori”.

O almeno questo è quello che i telespettatori si sarebbero aspettati. E invece questa volta il format è stato cambiato. Spiega Briatore: «Dato che era un fatto di solidarietà non credo che ci siano vincitori o vinti. Per cui la persona che uscirà non sarà valutata in base al risultato dell'asta ma in base al percorso professionale e personale che avete fatto fino ad oggi». Come dire: per questo giro abbiamo giocato e quindi la valutazione la faremo sulle cose serie. Così l'unica informazione data ai telespettatori riguarda l'identità della squadra vincitrice. E basta. Nessuna cifra. A fine puntata non è stato possibile sapere quanto l'asta abbia fruttato.

Per questo abbiamo chiamato il numero di cellulare che la Fondazione Crescere Insieme al Sant'Anna indica sul proprio sito e abbiamo chiesto di avere informazioni. Ci è stato detto di chiamare domani perchè: «non siamo a conoscenza dell'entità della raccolta fondi. Sappiamo solo che faceva riferimento alla Juventus e ad una società di Milano di cui non conosciamo il nome». In attesa di riuscire a parlare con Juventus, scoprire chi sia la società di Milano senza nome e chiedere chiarimenti alla redazione di The Apprentice, cominciamo a porre alcune domande.

  1. Briatore e la redazione di The Apprentice che idea hanno del fundraising e dei fundraiser?
  2. E come, se non guardando al valore economico, un'attività di raccolta fondi dovrebbe essere valutata?
  3. Lo sanno Briatore e la redazione che la trasparenza è al primo posto quando si parla di raccolta fondi?
  4. Da dove attinge il programma l'idea che il non profit sia un'attività a scarso contenuto professionale più simile ad un gioco che ad un lavoro?
  5. I soldi raccolti durante l'asta a quanto ammontano e dove sono stati depositati? 
  6. A quanto ammontano le spese, dirette e indirette, che sono state sostenute per organizzare l'asta-show?

Nei prossimi giorni lavoreremo per avere le risposte.


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