Salute

Lo stop della Corte europea dei diritti dell’uomo

Accolto il ricorso di una coppia di italiani affetti da fibrosi cistica. Roccella: non è giudizio di merito

di Redazione

La Corte europea dei diritti dell’uomo ha accolto il ricorso contro la legge 40 sulla fecondazione assistita, in particolare sui limiti di accesso alle tecniche, presentata dagli italiani Rosetta Costa e Walter Pavan, entrambi con fibrosi cistica, malattia che si trasmette in un caso su quattro ai figli, che vorrebbero accedere alla fecondazione in vitro, con la possibilita’ di fare l’analisi embrionale preimpianto. Ma non possono, perche’ la legge riserva l’accesso alle tecniche di procreazione solo a chi e’ infertile, come spiega l’avvocato Filomena Gallo, vice segretario dell’Associazione Coscioni e presidente di Amica Cicogna, che chiede “ora Strasburgo dia il via libera all’accesso universale”. “Sono soddisfatta – dice Gallo – per la decisione della Corte di Strasburgo di accogliere il ricorso presentato dalla coppia italiana contro la legge 40. Intanto il governo perde ulteriori occasioni per rimediare a vecchi errori che hanno dato vita ad una legge con fondamento solo ideologico priva di scientificita’ e legalita’”. Quando il tribunale europeo esaminera’ la normativa mi auguro che consenta un accesso universale alle tecniche di fecondazione assistita a tutti coloro che per avere un figlio hanno bisogno dell’aiuto della medicina, eliminando discrimini insensati e riconoscendo i diritti universali. In Italia, la Carta costituzionale sancisce il principio di uguaglianza, il diritto alla cura, il diritto ad una famiglia e a scelte consapevoli e responsabili in materia genitoriale. Ma la legge 40 disattende tutto cio'”.

Oggi, infatti “una coppia infertile puo’ fare diagnosi preimpianto se portatrice di patologia genetica” mentre “una coppia fertile portatrice di patologia genetica non puo’ accedere alla medesima diagnosi”. Sono “palesemente lesi il principio di uguaglianza e le norme di garanzie citate, dunque”. Il tribunale di Salerno nel 2010, prosegue Gallo, “ha consentito l’accesso alle tecniche di procreazione assistita a coppie fertili portatrici di patologie genetiche. Tuttavia tali decisioni hanno valore solo per i singoli casi concreti, non hanno portata generale, perche’ la legge 40 consente l’accesso alla Pma solo alle coppie infertili (e portatrici di patologie virali per linee guida dal 2008), quindi chi ha problemi di trasmissione di malattie genetiche ancora oggi e’ escluso da queste tecniche ed e’ costretto a rivolgersi ai tribunali italiani”.

– Rosetta Costa e Walter Pavan, 34 e 36 anni, hanno avuto un bambino nel 2006, malato anche lui di fibrosi cistica. Hanno scoperto allora di essere portatori della malattia, con una possibilita’ su quattro di avere un figlio malato e una su due di avere un bambino portatore del gene anormale. In Italia, pero’, la loro unica possibilita’ – si legge in una nota della Corte europea dei diritti umani – e’ ricorrere all’aborto in caso i test prenatali indicassero la malattia genetica del feto. E nel 2010 Rosetta Costa e’ stata costretta a ricorrere ad un aborto. La coppia, pero’, vuole accedere alla fecondazione in vitro per fare lo screening preimpianto dell’embrione. Questa possibilita’ e’ prevista in 15 Paesi europei: Belgio, Danimarca, Spagna, Finlandia, Francia, Grecia, Norvegia, Paesi Bassi, Portogallo, Repubblica Ceca, Gran Bretagna, Russia, Slovacchia, Slovenia e Svezia. La normativa italiana – legge 40 – permette, invece, la procreazione medicalmente assistita e lo screening prenatale solo alle coppie sterili o in cui l’uomo e’ affetto da una malattia sessualmente trasmissibile (Hiv, epatite B, C), “eccezioni che non si applicano ai richiedenti”, spiega la Corte. Invocando gli articoli 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 14 (divieto di discriminazione) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, la coppia ricorrente si considera “vittima di una discriminazione rispetto alle coppie sterili e a quelle con il partner maschile affetto da una malattia sessualmente trasmissibile”.

“Dispiace constatare che sul ricorso di una coppia italiana alla Corte europea di Strasburgo in materia di procreazione medicalmente assistita si stanno diffondendo equivoci ed interpretazioni sbagliate. Il ricorso, infatti, non e’ stato ancora neppure dichiarato ricevibile, ma e’ stato soltanto presentato alla Corte, che ne dovra’ valutare appunto, la ricevibilita’. Solo allora si potra’ aprire l’eventuale procedimento. Siamo ben lontani, quindi, non solo da una sentenza, ma perfino da una prima valutazione di un percorso giudiziario”. Lo sostiene il sottosegretario alla Salute Eugenia Roccella in una nota. “Ricordo, inoltre, che la Corte di Strasburgo accetta i ricorsi solo quando si siano completati tutti i gradi di giudizio nel Paese di appartenenza, cosa che – conclude – non sembra sia ancora avvenuta in questo caso”.

“La decisione della Corte europea è l’ulteriore conferma di quanto questa legge è lontana dalla vita delle persone e discriminatoria, e mette anche in luce l’impianto ideologico su cui si basa”, è invece il commento di Livia Turco del Pd.

“Le norme sulla procreazione medicalmente assistita – prosegue Turco – sono continuamente sottoposte a ricorsi di costituzionalità e sono oggetto di sentenze di molti tribunali in Italia, e adesso anche in sede europea. E’ una legge vulnerabile per l’impianto ideologico. Aspettiamo che il governo trasmetta la relazione al Parlamento e ci auguriamo che questa sia l’occasione per riaprire il dibattito su un tema sul quale non può cadere il silenzio e la disattenzione”.

 


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