Non profit

Lo Stato? Fuggito A combattere ci siamo solo noi

«Bisognerebbe chiudere la Caritas, perché le istituzioni smettano di sopravvivere sulle spalle dei volontari».Il parroco di Librino denuncia. Anche i suoi parrocchiani di Alfio Spampinato

di Redazione

Le circostanze storiche ci costringono a trasformare la carità in beneficenza, riducendola di qualità. Così le risposte proprie della Chiesa, cioè l?annuncio e la trasmissione della vita eterna e della vittoria di Cristo sul peccato e sulla morte, vengono messe in secondo piano di fronte alle richieste di un aiuto quasi esclusivamente materiale da parte della gente. Che poi non è altro che il surrogato di un?attività propria delle istituzioni politiche che in questo campo sono quasi totalmente assenti». Padre Alfio Spampinato, parroco di Librino (smisurato quartiere-dormitorio di 60 mila abitanti della periferia sud di Catania) e cappellano del supercarcere di Bicocca, sa di essere provocatorio in questa sua denuncia, ma rilancia con decisione: «Se fosse possibile, dovremmo chiudere le sedi della Caritas per obbligare lo Stato a non adagiarsi più sulle spalle della Chiesa e dei volontari, ed a fare puntualmente tutto il proprio dovere». E dire che lui, laureato in teologia e scienze sociali all?Università Gregoriana di Roma, non è certamente uno di quelli che si tira indietro: «Non possiamo ancora contare una parrocchia vera e propria», spiega, mostrando faldoni pieni di ricevute, bollette e fatture pagate, per libri di scuola, medicinali, affitti e persino biglietti del bus ammonticchiati in un ripostiglio del basso prefabbricato che all?epoca della realizzazione della città-satellite fungeva da ufficio tecnico per i progettisti, ed oggi invece ospita temporaneamente la chiesa di Nostra Signora del Santissimo Sacramento. «Ma con tantissimi sforzi e sacrifici riusciamo ad assistere 500 famiglie, tremila persone circa, conservando per ognuna una rigorosa documentazione al fine di evitare speculazioni». Ma ai suoi poveri tira pure le orecchie: «Qui preferisco parlare da uomo di Dio che non da sociologo. A loro predico sempre di abbandonare quel comportamento schizoide indotto dalla società dei consumi, per cui si cerca con insistenza di apparire all?esterno a livelli medio-alti, ed invece si vive a livelli medio-bassi. Il male sta proprio nel non voler ridimensionare il proprio stile di vita, adeguandolo alla difficile situazione attuale: pensate che ci sono mamme che comprano ai bambini i chewingum e non hanno i soldi per la frutta». L?esempio, dice padre Alfio, cerca di darlo lui stesso, non sprecando niente del magrissimo bilancio della parrocchia. «I moccoli delle candele dei battesimi li rivendiamo, così riusciamo a ricavare piccole somme, utili però a comprare qualche chilo di pane in più per chi ne ha bisogno. Ed alle cresime, invece dei fiori, ai ragazzi chiedo di portare pacchi di spesa per sfamare le famiglie povere. Vendendo la carta da riciclare siamo poi riusciti a pagare decine di bollette insolute». Ci vuole insomma una scelta di austerità e semplicità, ripete («La stessa», aggiunge, «che dovrebbe adottare lo Stato sciupone»), ma anche una filosofia del lavoro diversa: «Il momento qui da noi è drammatico, per questo cerco di far capire ai giovani che devono cercare i lavori, piuttosto che stare ad aspettare il posto». Eppure c?è chi mi ha rifiutato l?occasione di 70 mila lire al giorno per andare a tagliare erba per 2 mesi, solo perché riteneva di poteva aspirare a qualcosa di più stabile: ?No, grazie. Preferisco il 27?, mi ha risposto. L?esempio da seguire è al contrario quello indicato dalla parabola dei talenti: premiare chi scommette in continuazione su se stesso, e cercare di convincere chi nasconde i talenti sotto terra che accontentarsi, nelle attuali condizioni, non porta a niente. Anche perché poi, purtroppo, nessuno si accontenta e per la villa a mare o la macchina di lusso è disposto a fare qualsiasi cosa».


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