Cultura

«Lo stato ai privati, che lezione d’acciaio»

Parla Enrico Gibellieri, ultimo presidente della Comunità europea del carbone e dell’acciaio.

di Ida Cappiello

E’ davvero paradossale: la domanda mondiale di acciaio sta ripartendo alla grande, e in Italia sono a rischio i posti di lavoro. Non solo a Terni: l?industriale Riva, patron della grande acciaieria di Taranto, ha dichiarato che potrebbe fermare la produzione tra qualche mese, per mancanza di materia prima, il carbon coke. Che in Italia non si produce quasi più: arriva tutto dall?estero, e i fornitori se lo tengono per far salire i prezzi. Adesso tutti invocano la politica industriale, ma dieci anni fa salutarono la privatizzazione dell?acciaio pubblico come la soluzione di tutti i problemi. La realtà è un?altra: l?ingresso dei privati ha comportato l?abbandono di un disegno strategico per il settore. Un solo esempio: in mano pubblica, il Centro studi materiali di Terni, l?unico polo tecnologico nazionale, aveva 600 ricercatori e un budget di 120 miliardi di lire. Oggi, entrambe le cifre si sono quasi dimezzate. E&F ha parlato di questi e altri temi con Enrico Gibellieri, l?ultimo presidente della Ceca, la Comunità europea del carbone e dell?acciaio. La Ceca, primo ente sovranazionale creato dall?Unione nel ?53, ha chiuso i battenti l?anno scorso, dopo i cinquant?anni previsti dallo statuto. L?intervista è un?occasione per ripercorrere, con una guida autorevole, luci e ombre della storia dell?acciaio in Italia. E&F: L?acciaio in Italia si porta addosso un?immagine triste, di industria in declino.Forse è il ricordo dei drammi legati alla chiusura dell?Ilva di Bagnoli? Enrico Gibellieri: Può essere, è stata una storia di lacrime e sangue per la città di Napoli, raccontata magistralmente dal libro La dismissione di Ermanno Rea. Quella fabbrica aveva rappresentato per tanti napoletani l?occasione di costruire una vera cultura industriale, riscattandosi da un?economia di frontiera ostaggio della camorra. Ma la decisione di smantellare il mega impianto dell?Ilva aveva senso: all?epoca, fine anni 80, la produzione di acciaio andava ridimensionata in tutta Europa. Il governo italiano scambiò la chiusura dell?Ilva con la concessione di aiuti di Stato, normalmente vietati, alle altre aziende del settore. E&F: Poco dopo, però, vendette tutto l?acciaio pubblico, Terni compresa. Fu una buona scelta? Gibellieri: Fu la stagione delle grandi privatizzazioni. Ma bisogna tornare indietro per capire. Le acciaierie italiane nacquero nel dopoguerra con il piano Sinigaglia, dal nome dell?ingegnere dell?Iri che fu padre dello di sviluppo di questa industria, considerata strategica per lo sviluppo economico nazionale. Furono costruiti gli altoforni di Cornigliano, vicino a Genova, di Bagnoli e di Taranto, e ampliato quelli di Piombino. Così siamo diventati il secondo produttore europeo di questo metallo. E&F: Che ruolo ha avuto la Ceca in Italia? Gibellieri: Ha avuto un ruolo trainante soprattutto per la ricerca e la formazione delle persone, con progetti davvero molto avanzati anche sul fronte della responsabilità sociale. Finanziò anche la costruzione di case per i lavoratori. All?ambiente, invece, si pensava meno. Più tardi fu proprio l?inquinamento uno dei fattori che mise in difficoltà alcune aziende, magari nate fuori città ma poi, con lo sviluppo del territorio, incorporate nel tessuto urbano con effetti devastanti. E&F: La privatizzazione ha fatto bene all?acciaio? Gibellieri: Aziende private ce ne sono sempre state, e anche grandi: pensiamo a Falck, Lucchini, Marcegaglia. Gestivano impianti più piccoli che lavoravano soprattutto rottame, che nell?acciaio è una materia prima di grande valore. Però, a differenza dello Stato che pur con i suoi errori aveva concepito un disegno strategico di sviluppo dell?acciaio, i privati, secondo me, hanno sempre navigato a vista.


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