Salute
Lo startupper: «Nessuna paura se al centro dell’Ai ci siamo noi»
Come (e dove) utilizzare l'intelligenza artificiale e non restare bloccati dalla sua potenza? Il punto con Nicola Grandis, ceo e founder di Asc27, startup ai fra le più interessanti che lavora sulla diagnostica precoce dell'Alzheimer
di Alessio Nisi
L’intelligenza artificiale, l’Artificial intelligence Ai, come dicono gli anglofoni, è solo uno strumento, creato dagli uomini e dagli uomini utilizzato per facilitare loro alcuni compiti: attività che richiederebbero tempo ed energie per essere concretizzate nella maniera più efficace che si conosca e che con tutta probabilità non arriverebbero al grado di raffinatezza che solo un ciclo computazionale può raggiungere. Senza questa premessa, che poi è la stessa che sta dietro alla calcolatrice accusata di rubare il lavoro agli ingegneri negli anni Sessanta, resta la paura di una tecnologia su cui si stanno investendo milioni di dollari, rimangono le suggestioni di Chatgpt (solo una vetrina, con utilità già superate) e lo choc per la disponibilità a tutti i livelli di strumenti (sorprendenti e luccicanti) per la modifica di foto e video.
Intorno all’intelligenza artificiale c’è molto parlare, ma ancora poca cultura. Proprio quella che ci servirà per padroneggiare questo strumento
Nicola Grandis – fondatore e ceo di Asc27
Algoritmi per la diagnostica
Senza questa premessa, sarebbero rimaste al palo le nuove soluzioni che questa tecnologia ha abilitato. Parliamo di previsioni finanziarie e aziendali, ricerche di mercato, generazione di contenuti (testi e non solo), ma anche di analisi avanzata nel settore immobiliare e strumenti di marketing. E di medicina diagnostica. Invece no, gli scienziati hanno bisogno delle possibilità offerte dal machine learning, mentre gli imprenditori ci vedono lungo. La premessa porta la firma di Nicola Grandis, 45 anni, di Lanciano (provincia di Chieti), fondatore e amministratore delegato di Asc27.
Asc27 è una startup, nata a Roma nel 2020, che sviluppa tecnologie che utilizzano algoritmi di intelligenza artificiale per le aziende (a oggi è considerata tra le cinquanta startup del settore più promettenti al mondo). Per la medicina, e in particolare per lo screening, ha messo a terra un sistema per la diagnosi precoce del morbo di Alzheimer, con un’attendibilità dichiarata di oltre il 90%. «Siamo al 94,6% – spiega – lo step precedente apparteneva alla Columbia University ed eravamo al 76%». Grandis spiega che il dispositivo messo a punto dalla sua squadra (otto mesi di lavoro congiunto fra tecnici e medici) permette «grazie all’analisi del sangue» di accendere o meno quelli chiama «warning» ovvero degli allarmi di segnalazione del morbo di Alzheimer. «A quel punto scattano esami clinici più specifici e nel caso la persona avvia subito le cure».
Priorità mondiale
Per intendersi (dati del ministero della Salute al 2021) la demenza è stata definita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e da Alzheimer Disease International una priorità mondiale di salute pubblica. Si stima che nel mondo oltre 55 milioni di persone convivono con una demenza. I dati del Global Action Plan 2017-2025 dell’Oms indicano che nel 2015 la demenza ha colpito 47 milioni persone in tutto il mondo, una cifra che si prevede aumenterà a 75 milioni entro il 2030 e 132 milioni entro il 2050, con circa 10 milioni di nuovi casi all’anno (1 ogni 3 secondi). La stima dei costi è oltre 1 trilione di dollari all’anno, con un incremento progressivo e una continua sfida per i servizi sanitari. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) la Malattia di Alzheimer e le altre demenze rappresentano la 7^ causa di morte nel mondo.
Anticipare la malattia a che serve? Può aiutare a controllarla.
L’Ai è una scienza che ha a che fare con la matematica, che poi diventa una tecnologia, che a sua volta diventa uno strumento. È un po’ come il fuoco
Nicola Grandis
Il confronto con padre Benanti
Da spauracchi a entità in grado di salvare il mondo, tuttavia va detto che gli algoritmi sono una materia molto complessa intersezioni che riguardano l’etica, la privacy, la creatività, il lavoro. Occorre equilibrio. «Mi confronto spesso», dice Grandis, «con padre Paolo Benanti, che ho conosciuto ai convegni sul tema», frate francescano, docente di Teologia morale e bioetica alla Pontificia Università Gregoriana e accademico della Pontificia Accademia per la Vita. Un autorità in materia di Ai. «Nei nostri discorsi io sono la parte più tecnica, lui più filosofica». Un punto su cui entrambi sono d’accordo? «L’intelligenza artificiale deve essere human in the loop» ovvero deve avere un approccio che colloca la conoscenza e l’esperienza delle persone al centro dei processi.
Intelligenza artificiale strumento da dominare
Veniamo al primo punto, la paura. «L’Ai è uno strumento molto potente, che sta evolvendo molto velocemente e con investimenti in tutto il mondo. Il nostro problema è come dominare questo strumento». E dominare uno strumento che rappresenta «il secondo Big bang dopo quello dell’informatica quattro decenni fa» è una cosa che fa tremare i polsi, ma le persone «dovranno imparare ad utilizzarla, come è successo con la calcolatrice negli anni Sessanta».
Al momento non c’è un intelligenza artificiale così avanzata da pensare di poter sostituire il lavoro di un essere umano
Nicola Grandis
Insieme agli umani
Attenzione però, se da una parte non si deve avere paura di uno strumento come questo, dall’altra non ne vanno sottovalutate le gigantesche potenzialità. «L’Ai dà il meglio quando si integra col lavoro delle persone, come ad esempio nel caso della nostra startup. Abbiamo un team di talenti che ha realizzato un modello di intelligenza artificiale che tocca il 94.6% di precisione sulla previsione del morbo di Alzheimer. Il modello, sottolineo, è stato creato da umani e ha richiesto tanto lavoro e tanta intelligenza, appunto».
In apertura foto Amanda Albjorn per Unsplash
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