Economia
Lo spread più preoccupante? Quello dell’inclusione sociale. Parola di banchiere
L'intervento di Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo, in occasione del convegno "La Fondazione bancaria fra finanza e impegno sociale: "Il vero nodo da sciogliere è realizzare un efficiente utilizzo del nostro capitale umano, perché è provato che una maggiore inclusione sociale rende la popolazione più felici a beneficio dell’intera comunità"
di Redazione
Non è stato un intervento di prammatica quello di Gregorio De Felice, chief economist di Intesa Sanpaolo in occasione dell’incontro “La fondazione bancaria fra finanza e impegno sociale” che si è svolto venerdì a Milano su iniziativa di Aiaf, l’associazione italiana degli analisti e dei consulenti finanziari. De Felice ha preso la parola dopo i saluti di Stefano Lucchini, chief institutional affairs and external communication officer di Intesa Sanpaolo e dopo quelli del presidente di Aiaf, Alberto Borgia e prima di lasciare il microfono alla relazione del presidente di Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti.
“L’Italia si sta attestando intorno a una crescita dell’1% e lo sta facendo in un quadro sano: non siamo al cospetto di bolle di alcun tipo, né finanziaria, né creditizia, né immobiliare”. Secondo De Felice, non è su questo fronte “che dobbiamo preoccuparci”. Semmai occorrerebbe concentrarsi sui tanti spread che, spesso sottovalutati, costituiscono la vera chiave per il rilancio del nostro Paese. Quali? De Felice parte dal differenziale degli investimenti che “fra il 2007 e il 2018 in Italia sono scesi di 84 miliardi di euro, mentre in Germania sono saliti di 72 miliardi: in totale quindi uno spread di 156 miliardi di euro”. Poi c’è il capitolo “ricerca e sviluppo” su cui in Italia mettiamo 350 euro per abitante a fronte di una media europea di 675. Quindi la produttività dove il Belpaese ha fatto segnare tassi del + 0,4% dal 1996 ad oggi mentre la media continentale è dell’1,6%. E ancora lo spread di competenze “con settori industriali che non riescono a coprire posti di lavoro per mancanza di profili adeguati, in un Paese che ha una disoccupazione giovanile intorno al 30%”.
In questo quadro però, lo spread che maggiormente allarma l’analista di Intesa Sanpaolo “è quello dell’inclusione sociale e della distribuzione della ricchezza. In Italia abbiamo tassi di abbandono scolastico del 14% contro una media Ue del 10,6% e l’occupazione femminile è al 50% contro una media continentale del 68%. La Banca d’Italia ha calcolato che se portassimo questo valore dal 50 al 60% otterremo un incremento del Pil di 9 punti percentuali assicurandoci una crescita analoga a quella di oggi per altri 9 anni, tanto per rendere l’idea”. In altre parole, “il vero nodo da sciogliere è realizzare un efficiente utilizzo del nostro capitale umano, perché è provato che una maggiore inclusione sociale rende la popolazione più felici a beneficio dell’intera comunità”. Incluso naturalmente in cosiddetto mondo degli affari. “Per agganciare la crescita” ha concluso De Felice, “è quindi imprescindibile scommette su famiglia, istruzione, educazione e ricerca scientifica in particolare per le classi di reddito più basso e per farlo il ruolo delle fondazioni bancarie è fondamentale”.
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