Non profit
Lo slum invisibile ora ha una mappa
Dodici ragazzi hanno dato un volto a Kibera, il secondo slum dell'Africa
Non sono segnati sulle mappe. Al loro posto ci sono enormi spazi bianchi. Eppure, secondo Un Habitat, l’agenzia Onu per gli insediamenti umani, ospitano i due terzi della popolazione urbanizzata dell’Africa. Si tratta degli insediamenti informali, detti anche baraccopoli o slums.
A colmare la lacuna ci hanno pensato dodici giovani kenyani: armati di un dispositivo Gps hanno percorso in lungo e in largo il secondo slum dell’Africa in ordine di grandezza, quello di Kibera, a Nairobi. L’inziativa è della Fondazione non profit OpenStreetMap, la cui mission è produrre mappe digitali open source, quindi libere e disponibili a tutti, degli insediamenti informali dove vive la popolazione più povera del pianeta, partendo dalla semplice costatazione che chi non è visibile non ha diritti.
«Finchè Kibera è uno spazio bianco sulla mappa la mancanza di acqua e servizi sanitari, il suo traffico interno e i suoi agglomerati di abitazioni restano invisibili al resto del mondo» ha spiegato Mikel Maron di OpenStreetMap all’agenzia Ips. «Sebbene molte organizzazioni abbiano in passato raccolto dati su Kibera, mancava un’informzione disponibile e condivisa. Map Kibera è una mappa open source che utilizza la piattaforma tecnologica di OpenStreetMap, una mappa del mondo costruita dagli utenti. A questo tipo di informazione possono accedere le organizzazioni non governative ma anche le compagnie private e pubbliche che lavorano nell’area».
Un Habitat stima tra le 500 mila e le 700 mila persone la popolazione di Kibera, con una densità di oltre duemila persone per ettaro. Lo slum si trova a sette chilometri a sud-est del centro città ed è il secondo insediamento informale in Africa dopo la township di Soweto in Sudafrica.
I dodici giovani “mappatori” kenyani hanno preso parte a un workshop di due giorni sui sistemi di rilevamento geografico attraverso Gps, quindi hanno riempito lo spazio vuoto di Kibera con riferimenti interni, delimitando per esempio i dieci villaggi di cui è costituito.
La mappa verrà man mano arricchita segnalando chiese e moschee, scuole, attività imprenditoriali e commerciali, ristoranti, la presenza di organizzazioni attive nell’area e di uffici pubblici. Maron spiega che lo scopo del progetto non è solo raccogliere dati ma consolidare l’informazione sulle infrastrutture comunitarie all’interno dello slum. «Si sa molto poco di quello che succede nei vari villaggi all’intero dell’insediamento» spiega. «E’ probabile che le persone che abitano in Kibera non siano a conoscenza di tutti i servizi disponibili, come i centri sanitari e le organizzazioni umanitarie. L’informazione che abbiamo prodotto aiuterà chi vuole accesso a Kibera a sapere esattamente dove un determinato luogo o struttura si trova e quali servizi sono disponibili».
A cinquant’anni dell’ “anno dell’Africa”, il 1960, quando la maggior parte degli Stati ottenne l’indipendenza il volto dell’Africa è sempre più fatto di metropoli infinite e meno di terra selvaggia. Se cinquant’anni fa soltanto una città a sud del Sahara, la sudafricana Johannesburg, ospitava oltre un milione di abitanti, nel 2010 Un-Habitat stima che saranno 33 le città africane che supereranno la soglia del milione, mentre entro il 2030 la maggior parte della popolazione del continente avrà lasciato la campagna. Il problema sul quale pone l’accento l’agenzia delle Nazioni Unite, che ha sede a Nairobi in Kenya, è che i due terzi degli ‘urbanizzati’ africani vivono in insediamenti ‘informali’ privi di corrente elettrica ed acqua potabile, senza fognature e sistemi di trasporto adeguati e in condizioni igieniche molto precarie.
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