Famiglia

Lo shopping di Bush e il buon senso di Porto Alegre

Se da una parte un sondaggio rileva che il più degli intervistati pagherebbe l'1%in più sulle tasse per ridurre la poverà, dall'altra Bush ha stabilito il più alto budget militare

di Giuseppe Frangi

Così va il mondo. Anzi così non va. Il planisfero che Vita pubblica in copertina non ha davvero bisogno di molti commenti. Semmai suscita raffiche di domande. Com?è possibile che un pianeta si regga su disequilibri tanto mostruosi? Sino a quando i miliardi di uomini che vivono su quelle piccole zattere cui sono ridotti tanti Paesi e interi continenti, accetteranno di restare esclusi dai grandi flussi della ricchezza? Solo un popolo di incoscienti può eludere domande come queste e pensare di consegnare un mondo così alle generazioni future. Ma qualcosa invece si sta muovendo. Non ci riferiamo soltanto alla splendida lezione di civiltà, di vivacità e di intelligenza che si è svolta settimana scorsa a Porto Alegre. Di quella i nostri lettori possono trovare un?ampia documentazione nel dossier centrale del giornale. Parliamo di un sentimento di cui Porto Alegre è la principale testimonianza, ma che sta facendo breccia in fette sempre più larghe di popolazione. Sabato 2 febbraio il Financial Times riferiva di un sondaggio realizzato per conto del World economic forum da un istituto canadese, Evinronics, su un campione di 25mila intervistati nei principali Paesi del mondo. Ebbene, la maggioranza degli interpellati si è detta pronta a pagare l?1% cento di tasse in più per ridurre la povertà globale. Anche numerosi protagonisti del World economic forum (l?ex Forum di Davos, che quest?anno si è tenuto a New York, ma nettamente in sordina rispetto all?eco avuta dal contemporaneo Forum di Porto Alegre: e anche questo è un segno dei tempi), hanno capito che è il momento della svolta. Bill Gates si è sentito in dovere di rimproverare a Bush la mancanza di una politica contro la povertà. Purtroppo, però, le buone notizie cozzano con le tante cattive che emergono inquietanti dal vecchio e solito modo di concepire il mondo. Il presidente George W. Bush, dopo il discorso super bellicista alla Nazione, ha fatto seguire alle parole i fatti. E lunedì 4 febbraio ha presentato al Congresso il più alto budget militare degli ultimi vent?anni: 379 miliardi di dollari (per stare al nostro planisfero, se fosse uno Stato, questo budget sarebbe grande quasi quanto l?India?). L?incremento in un anno è del 14,5% e non solleva solo problemi di coscienza. Bush, infatti, agisce in nome della sicurezza, ma anche in nome di un tentativo di battere la recessione, vero spettro che assilla l?America ben prima dell?11 settembre. Ma un sistema economico che si regge sul proprio apparato militare, che futuro ha e, soprattutto, che futuro prospetta al mondo? In effetti, osservatori attenti hanno già denunciato i sotterfugi contabili cui l?amministrazione americana ha dovuto ricorrere per finanziare questo immenso acquisto di armi. Lo ha fatto un?organizzazione non governativa. Il Pogo – Project on governement oversight, che ha sottolineato come gran parte delle operazioni (quelle da 250 milioni di dollari in su) siano fatte ricorrendo all?escamotage dei leasing. In questo modo i costi vengono distribuiti su un periodo lunghissimo, anche se alla fine verranno a costare molto di più ai conti pubblici. Ultima cattiva notizia: il Fondo monetario internazionale, che con la sua politica ha affossato l?Argentina e poi l?ha abbandonata a se stessa perché strategicamente poco interssante per gli equilibri di chi domina il mondo, ha invece concluso la più vasta operazione di finanziamento della sua storia nei confronti della Turchia. Con 31 miliardi di dollari Ankara è diventata il maggiore beneficiario di ogni tempo dell?Fmi. Si tratta di un Paese che l?Europa tiene alle porte della Ue per le ripetute violazioni dei diritti umani: davvero quella dell?Fmi è una pessima lezione per tutti.


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