Formazione
Lo sento amico, questo Dio debole
Intervista a Marco Revelli, sociologo.
“Sono un laico sofferente”, dice Marco Revelli: ha speso tutta una vita nella e per la sinistra e se oggi Bertinotti teorizza la pratica della nonviolenza come orizzonte per il movimento comunista, si deve anche e soprattutto alle sue riflessioni. Ma un laico “sensibile al messaggio”. Di Gesù, ovvio.
Vita: Professor Revelli, di cosa è fatto il suo Gesù?
Marco Revelli: Prima di tutto è rottura della storia, l?evento che spezza il tempo in un prima e in un dopo, un ?novum radicale? che si esplica attraverso la Parola: questo è il primo elemento che compone il mio Gesù, se devo e voglio ascoltare il segno che un uomo come Gesù ha lasciato dentro di me. è la scelta inedita di abbassare unilateralmente le armi, di presentarsi davanti all?altro a mani nude e a braccia aperte. Il totale e radicale rovesciamento, dunque, del Dio degli eserciti, perché la sua Parola dichiara unilateralmente la pace. In un?epoca come quella in cui visse, poi, così simile alla nostra, in cui i linguaggi di guerra erano universali, occupavano tutta la scena. In un Paese occupato, la Palestina dei suoi giorni, Gesù compie una scelta estrema di pacificazione attraverso la mossa di fare il primo gesto. Una mossa che spezza la logica della rivalsa, della rappresaglia, del rancore.
Vita: Il secondo elemento?
Revelli: è quello della novità che spezza la Storia grazie a predicazione radicale e universale dell?eguaglianza tra gli uomini. Una predicazione e riconoscimento dell?eguaglianza nient?affatto formale ma sostanziale: gli ultimi saranno i primi, beati i poveri, tutte le parabole, i discorsi, sono un riconoscimento estremo e potente della dignità dei deboli in un mondo che adorava i signori.
Vita: Pace, eguaglianza. E se la volessimo vedere sul piano teologico?
Revelli: Ecco, allora arriva il terzo elemento che compone il mio Gesù, quello di averci reso più vicino e umano Dio, di aver rotto la ferocia del modello monoteistico, di averci reso familiare un Dio che si lascia massacrare dagli uomini, accetta di soffrire per mano loro. L?attenuazione del monoteismo, di un Dio unico, onnipotente e onnisciente, ci restituisce un Dio che condivide con l?uomo il dolore e che consapevolmente s?indebolisce fino a fare del suo essere vittima l?elemento stesso del sacro. Un sacro dunque che non sta nel carnefice, ma nella vittima. Affermazione dalle infinite implicazioni teologiche e che anticipa il Dio di Auschwitz, il Dio debole ostaggio degli uomini che soffre per mano nostra e che affida la sua sopravvivenza non alla Potenza ma alla Parola. Un Dio dunque che, con la sofferenza, acquisisce anche la possibilità e la capacità di ?conquistare i conquistatori?.
Vita: Nell?Ottocento era nata, a sinistra, l?immagine del ?Gesù socialista?. E nel Novecento?
Revelli: Il Novecento, invece, è davvero il secolo senza Cristo anche per colpa della Chiesa. Il discorso su Cristo si privatizza e riemerge solo in alcune testimonianze alte ma individuali: nei perseguitati, nei campi di concentramento, nei resistenti, in figure come Simone Weil, nei libri di mio padre che racconta di ufficiali italiani in Russia fortemente credenti e straordinari nei loro eroismi quotidiani, in don Viale, perseguitato (anche dalle gerarchie ecclesiastiche) per aver salvato centinaia di ebrei. Oggi, forse, la disumanizzazione della sfera pubblica tipica del Novecento volge al termine e c?è anche un recupero del messaggio di Cristo, della forza della debolezza contro il mito della potenza, un messaggio di straordinaria attualità dato lo stato del mondo.
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