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Lo scrittore Héctor Abad: «Quello che ho imparato da Victoria, io pacifista codardo»

Il grande autore colombiano è sfuggito per miracolo al bombardamento che ha fatto strage di civili, alcuni giorni fa, a Kramatorsk. La nostra Barbara Marini, sua amica, gli ha chiesto di raccontare quei giorni e quelle ore. E di ricordare la persona e l'impegno della giovane poetessa ucraina Amelina, che sedeva accanto a lui quando il missile russo ha portato la morte

di Barbara Marini

Abbiamo chiesto alla nostra collega Barbara Marini di intervistare Héctor Abad Faciolince, grande scrittore colombiano, uno dei più importanti romanzieri dell’America Latina. Nei giorni scorsi Abad Faciolince è rimasto ferito nell’attacco di russo su Kramatorsk, dove ha perso la vita la poetessa Victoria Amelina.
Glielo abbiamo chiesto perché sappiamo dell’amicizia che la lega al grande scrittore e perché quei fatti tragici – un razzo sui civili, distruzione e dolore – meritavano di essere denunciati e non finire nella risulta degli orrori a cui siamo purtroppo abituati. Barbara s’è schermita finché ha potuto, giustamente determinata a non mescolare affetti e professione ma, alla fine, ha capitolato. Per questo le siamo grati (G.C.).

Héctor Abad Faciolince (classe 1958) è oggi un uomo buono, dal volto rassicurante e dalla gentilezza informale e rara: la sua vita è sempre stata pubblica, per via di suo padre, Héctor Abad Gomez, medico, professore dell’università di Medellin e presidente del “comitato per i diritti umani”, che fu ammazzato senza pietà, il 25 agosto 1987 a due passi da casa, in un paese, la Colombia, assetato di giustizia e soffocato dai narcotrafficanti e da politiche corrotte.

Diciannove anni dopo il figlio divenuto ormai scrittore, ne raccontò la storia in un libro autobiografico pubblicato in Italia per Einaudi, L'oblio che saremo, che ha fatto il giro del mondo e che poi è stato tradotto nel bellissimo film diretto da Javier Cámara (sotto la locandina, ndr) che ha vinto moltissimi premi.

Oggi fa il giro del mondo con il suo ultimo romanzo, Todo esta bien Salvo mi corazón, la storia di un bravo prete alle prese con un trapianto di cuore e con la vita di due donne. Il libro è un successo internazionale, non ancora tradotto in Italia che rimane ancora una volta indietro, dimenticandosi di lui, in ritardo, assetata di una editoria da ombrellone e da ghostwriter per starlette.

Abad Faciolince è stato tradotto ovunque, anche Ucraina dalla edizione Compas books, motivo per cui si trovava a Kiev, a firmare copie e non solo, al coraggioso festival del libro che lì si è svolto dal 22 al 25 giugno scorso. Dal 2016 dirige insieme ad Alexandra Pareja, Angosta Editores, una sua casa editrice, dedicata a giovani scrittori. Ha due figli: uno architetto e creativo e l’altra bravissima regista, che mi ha fatto conoscere un pezzo di Colombia difficilmente rintracciabile dai nostri libri.

Venne a trovarmi a casa mia, in un bosco a pochi chilometri da Firenze, il Lunedì dell’Angelo del 2019. Quando, dopo il pranzo, un mio amico musicista gli intonò un antico canto napoletano, lo vidi che cercava di impararlo a memoria, con gli occhi lucidi. Si cantava di un amore impossibile, di un pescatore innamorato di una “bruna” promessa sposa al ricco. Héctor, ascoltava, si avvicinava alla chitarra, cercava il testo e si lasciava segnare dalle parole: le ascoltava e le trattava come fossero di carne. Da giovane aveva studiato a Torino (nel 1982, dopo che era stato espulso dalla sua Università di Medellin), ed è stato anche un fine traduttore: Umberto Eco, Tomasi di Lampedusa, Voltaire, Sciascia, Calvino, Bufalino, Kipling. Ascoltava dunque quei versi come solo uno scrittore sa fare, fino alla commozione di un bambino e si “buttava”, cantando con la sua bella voce colombiana. Poi, Meraviglioso di Modugno, l’ha voluta imparare a cantare e a suonare. Da quel pranzo lo chiamo tio, zio, un modo bambinesco per rifugiarmi sotto la sua ala. Se lo chiamassi “mentore” o “maestro” mi riderebbe addosso. Così sorride e basta.

Eccomi qua Héctor, anche se stavolta davvero non ho le parole per raccontare lo spavento che può nascere da quei messaggi in WhatsApp quando ancora tu sentivi l’odore della bomba: «Adesso usciamo dall’inferno costruito dai russi… siamo vivi, ed è gia molto», mi hai scritto, mentre Victoria Amelina era ancora in ospedale e lottava. Il giorno dopo: «Saluti dal rinato. Scrivi tutto quello che vuoi». Poi lei invece è morta. L’ho appreso dal giornale, un tonfo: non avevo il coraggio di chiedergli altro, le chat sono ridicole in tempi buoni, figuriamoci davanti all’orrore di una morte così.

Ma cosa è successo? Dopo Valencia, Héctor decide di partecipare alla coraggiosa Fiera del libro di Kiev insieme a Sergio Jaramillo – Alto Commissario per la Pace ed ex viceministro della Difesa della Colombia – insieme alla giornalista Catalina Gómez, e alla scrittrice Victoria Amelina hanno deciso di raccogliere testimonianze di persone che hanno vissuto la guerra. Erano nella regione del Donbas e hanno visitato la città di Kramatorske, che, da 200mila mila abitanti è passata a 80mila, dopo l’invasione russa. Lo hanno fatto impegnati in Aguanta Ucraina! (“Tieni duro Ucraina”), un movimento dichiaratamente schierato contro l’attacco di Putin e a cui molti intellettuali hanno aderito. Victoria Amelina va con loro: da tempo scrive di crimini degli invasori e, mi dice Abad, «è stata fondamentale per imparare gli orrori della guerra e atrocità commesse dall’esercito russo».

Il resto è cronaca: alle 19 del 27 giugno, al “Ria Pizza” c’è il pieno, un missile Iskander, russo esplode a 10 metri da loro. Feriti ovunque, almeno 60. Saranno 11 i morti. Il mio amico Héctor salvo per miracolo. Nel web girano le sue foto, con la camicia sporca di sangue.

Dall’aeroporto di Madrid, dove oggi si imbarca per tornare a casa, la sua voce, per il solito rassicurante e baldanzosa, è greve e lentissima. Nella decisione comune di raccontare quanto è successo, vi riporto qui questa sua testimonianza. Il discorso è rotto e ogni parola pesa quanto un macigno.

«Non so cosa sto imparando dalla vita di Victoria e dalla sua morte, devo ancora scoprirlo, scrivendo mi renderò conto di quello che ho vissuto ma dai due giorni passati con lei ho imparato la serietà, il dolore, il rischio della guerra. Lei si è lasciata indietro un bimbo di dieci anni, che adesso non ha più una madre, il suo supporto più importante e questo è veramente terribile e mi fa pensare che forse, io, vecchio, dovrei essere al suo posto, perché i miei figli ormai sono grandi. Questo mi fa sentire male».

Ho visto che ha già iniziato a scrivere qualcosa e gli chiedo perché si definisca un “pacifista codardo”. Mi risponde: «Sono pacifista da un punto di vista filosofico, penso che la guerra sia sempre orribile, sono un non violento ma sono codardo perché non sempre riesco a dire questa orribile verità: che ci sono circostanze nella storia del mondo in cui il pacifismo non ha più senso. Gandhi e i suoi amici potevano sdraiarsi sui binari del treno in India, perché i nemici, i colonialisti inglesi, fermavano quei treni. Ma io sono sicuro che Putin, quei treni non li avrebbe mai fermati. Allora non è possibile senza la forza opporsi a questo esercito invasore. Ce l’ha detto un amico di Victoria Amelina, anche lui pacifista: “Loro capiscono solo il linguaggio della forza, delle armi, non c’è alternativa, noi dobbiamo rispondere con l’unico linguaggio che loro parlano”».


Gli dico che ormai questa guerra è una delle tante e mi risponde: «È qui che l’atteggiamento di molte persone in Italia, soprattutto nell’atteggiamento di molta sinistra e dell’estrema destra, comparando come Silvio Berlusconi è stato con Putin è un atteggiamento molto comodo e pure molto codardo. In questo momento l’Ucraina sta lottando per tutti noi, non solo per loro stessi, per tutta l’Europa, per le libertà e i valori che sono più cari, a quello che abbiamo chiamato “civiltà europea”, l’ovest! Non possiamo fa finta che questa sia una guerra tra due potenze: una pedina russa e una pedina occidentale. No, è una invasione di una potenza molto più grande, molto più potente, contro un paese più piccolo, più debole. Non abbiano fatto nulla quando loro hanno invaso la Crimea nel 2014! E lì gli ucraini hanno imparato, hanno capito che avrebbero dovuto difendersi da soli. E se Putin avesse vinto la sua blitzkrieg in quindici giorni e avesse messo un governo fantoccio come a lui piace, oggi l’Ucraina sarebbe come la Bielorussia o come tanti altri satelliti della Russia stessa. Gli ucraini hanno negato il permettere che questo accadesse e dobbiamo essere con loro».

Gli chiedo cosa sta cambiando in lui. «Io sono lo stesso che ero prima. Ho aderito a questo movimento, Aguanta Ucrania, perché ero convinto dell’importanza di questa difesa che fa l’Ucraina contro l’invasione dei russi».

Che cosa ti ha mosso? Domando. «Ci sono andato perché c’era un mio libro pubblicato!», racconta, «a Kiev, lì vivevano, soffrivano le mie due carissime ragazze molto giovani che portano avanti una piccola casa editrice. Se loro non avevano paura, come avrei potuto io, dire di aver paura! Poi il viaggio si è improvvisamente allungato fino a Kramatorsk. Questo non era nei piani e io non avevo nessuna voglia di andarci ma non sono riuscito a dire che avevo paura che ero codardo e che non ci sarei voluto andare e ancora meno quando Victoria che non era nei programmi che venisse con noi, con noi ha detto “vengo anche io con voi a salutare quelle terre” (sotto il profilo della scrittrice uccisa, ndr). Questa regione in cui ho imparato tante cose. Ed è venuta con noi ed è stata una compagna incredibile perché ci ha fatto vedere i posti dei peggiori crimini o alcuni dei crimini dell’esercito invasore. E poi è successo quando eravamo già l’ultima sera al ristorante, pensavamo di essere al sicuro lì proprio perché eravamo semplicemente, in una pizzeria, si chiacchierava, eravamo abbastanza tranquilli, diciamo così. Invece loro non hanno rispettato niente!»

Prosegue Héctor, «Victoria da un anno non scriveva più romanzi, voleva solo documentare i crimini di guerra degli invasori. Adesso che non può più documentare quest’ultimo crimine di guerra di cui io sono stato testimone diretto, perché ho visto Victoria perdere coscienza, chiudere gli occhi, ed essere pallida fino alla morte , sento io la responsabilità di raccontare questo orrendo crimine che è successo».

«Héctor la letteratura è un’arma o una medicina?», lo interrogo. «La letteratura», risponde, «non è un’arma ma non avrebbe senso se almeno non cercasse prima di capire e poi di spiegare cosa è successo, con le parole più esatte, con le parole più giuste. E avere almeno un briciolo di speranza che qualcuno legga e capisca e aderisca anche a certe cose che per noi sono le più importanti e le più care. Il missile che ha ucciso Victoria è un’arma di precisione assoluta. A questo missile noi dobbiamo opporre questa arma di precisione che deve essere la scrittura, la lingua, la letteratura. Ed è quello che cercherò di fare nei prossimi mesi».

Héctor Abad Faciolince torna a casa ancora una volta con la morte negli occhi e la necessità di raccontare al mondo quanto accade. La scrittura gli darà la voce, l’amore che porta nel cuore, la forza.

Concludo, come lui ha sempre concluso le sue lettere: «Scrivimi e scrivi di te», ma so che non mi ascolterà e racconterà le storie di Victoria e di tutti coloro che hanno vinto il male, perdendo la vita, fino alla fine: «mi dedicherò nei prossimi mesi per scrivere di questo crimine efferato, per raccontarlo meticolosamente e dettagliatamente, al di sopra della propaganda e delle bugie dei russi». Mi ha detto così.

Credo che di nuovo l’assenza del padre assassinato, oggi sia tanto forte quanto la commozione per questo figlio ucraino che ha perso una madre coraggiosa a soli dieci anni. E sarà per lui che Hector racconterà questa storia. Di padri e madri morenti e di figli che sotto cieli di piombo, sempre alla ricerca di una giustizia e di una verità pacificante, è fatta questa storia, tra bellezza e dolore, è anche letteratura.

Nella foto di apertura, un momento del viaggio di Abad Faciolince in Ucraina: abbraccia la libraia Yulia, nella cittadina di Kapytolivka. Un momento immortalato proprio da Victoria Amelina nel suo profilo Twitter.

In faiciocheami.it il blog di Barbara Marini, una versione più estesa di questo racconto.

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