Cultura
Lo Schindler del Ruanda é italiano
Nei giorni del genocidio il console Pierantonio Costa salvò oltre 500 ruandesi e un centinaio di occidentali.
“Ho solo risposto alla mia coscienza. Quello che ho fatto lo si deve fare”. Ha salvato più di 500 ruandesi in fuga dal genocidio. Ha perso tutto, la sua attività, i suoi soldi, ha rischiato la sua vita. Non è un eroe moderno, ma semplicemente un uomo normale che ha solo risposto alla sua coscienza.
Si tratta di Pierantonio Costa, console italiano in Ruanda dal 1988 alla fine del 2003 e imprenditore. Console all?epoca del genocidio, una delle più grandi tragedie della storia del ventesimo secolo. Era il 1994, il 7 aprile, quando si scatena una delle guerre civili più violente del Novecento.
Da quel giorno la vita di Costa non è più la stessa. Percorre da nord a sud il Ruanda, attraversa frontiere con una ?lista? in mano. La sua lista, quelle delle persone che intende salvare. Un elenco che viene aggiornato di giorno in giorno con i nomi di coloro che incontra per strada e che strappa, spesso pagando di tasca sua, alla furia dei militari o dei miliziani.
La storia del console italiano è stata raccolta da Luciano Scalettari, inviato di Famiglia Cristiana, ed è raccontata nel libro Le liste del console, edito dalle Edizioni Paoline e in uscita la settimana prossima, proprio in coincidenza con il decennale dal genocidio.
In poco più di tre mesi in Ruanda è morto un milione di persone, 416 persone all?ora, 7 al minuto. “Per la cronaca”, scrive Scalettari nella prefazione, “quel poco che ha fatto Costa ha permesso di salvare oltre 500 ruandesi, portati in salvo in convogli organizzati direttamente da lui, senza contare i 123 italiani, i belgi, gli svizzeri, i francesi e gli altri europei. E ha contribuito in modo determinante alla protezione e al salvataggio di un altro migliaio di bambini”.
Come Friedrich Schindler e Giorgio Perlasca, uomini che in analoghe, drammatiche circostanze hanno dato una sconvolgente prova di generosità e di umanità, cercando di fare ogni sforzo possibile per salvare alcune delle tante vite umane che vedevano spazzate via ogni giorno.
Questo libro racconta la storia di un uomo, del console, ma anche e soprattutto quella del genocidio ruandese e l?immenso dolore che quei fatti hanno provocato nella vita di ogni ruandese. Da contrappunto alla storia, oltre all?analisi puntuale su ciò che ha preparato il genocidio e sulla situazione attuale, alcuni racconti di vicende umane di ruandesi che quei giorni li hanno vissuti da protagonisti.
Tre mesi, da aprile a luglio, in cui Costa ha speso ogni sua energia per il popolo ruandese. Mentre accadeva tutto ciò, i militari e i miliziani lo hanno depredato di tutto ciò che possedeva: beni e mezzi per oltre tre milioni di dollari. Le sue quattro aziende sono andate perdute, spazzate via. E lui ha continuato a distribuire ?mance? per ottenere autorizzazioni, permessi, per poter organizzare convogli e superare i posti di blocco dei miliziani, per salvare centinaia di ruandesi.
Lo racconta lui stesso: “All?inizio del genocidio avevo preso con me il denaro delle casse e quello che avevo in casa. Erano 300mila dollari. Alla fine, a luglio, me n?erano rimasti meno di mille. Avevo dato via tutto”.
Eppure per Costa questo doveva essere semplicemente fatto, e a distanza di dieci anni quest?uomo coraggioso continua a dirsi che “si poteva fare di più”.
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