Economia

Livia Consolo: abbiamo bisogno di un nuovo inizio. Anche per noi cooperatori

La presidente del Gruppo Cooperativo CGM dal 1992 al 2002, nel suo intervento in occasione del trentennale del Gruppo: «Dobbiamo continuare mettere carburante nel fuoco del cambiamento senza pensare al tornaconto personale e rischiando di essere relegati al ruolo di testimonianza»

di Livia Consolo

Pubblichiamo l'intervento di Livia Consolo al trentennale di CGM

Ad Antonio Benedetti, con preghiera di lettura ai cooperatori sociali presenti a Forlì nel trentennale di Cgm.

Ho compiuto 65 anni, era il 1978 quando entrai la prima volta da cooperatrice e volontaria in un sottoscala dove ci riunivamo per inventarci brandelli di dignità per gli anziani poveri nel centro della città di Brescia, era il 1992 quando venni indicata dalla Lega Nazionale delle Cooperative per il Consiglio d’Amministrazione di Cgm, di cui sarei diventata in seguito il Presidente.

Sono stata fortunata a vivere il mio decennio in Cgm in anni di crescita – spesso apparente ma le percezioni contano molto per avere il coraggio necessario ad intraprendere – e sono contraria alla negazione di quanto fatto da quelli che vengono dopo, del genere “dopo di me il diluvio” che è un vizio molto presente in quelli della mia generazione: ognuno è figlio di un periodo storico, a cui aggiunge o toglie qualcosa secondo i propri meriti ed i propri limiti. Il mio decennio di responsabilità in Cgm è stato un decennio di forte spinta in avanti nel fare, nell’organizzare rete, nel produrre numeri, moltiplicare gli interlocutori, allargare il raggio d’azione, incrociare nel sociale la dimensione orizzontale con quella verticale: sbaglierebbe chi volesse vedere in quel “fare” un espansionismo della cooperazione sociale come fine a se stessa perché quello era il frutto di una cultura del bene comune, “politica” nel senso autentico del termine, che costituiva l’identità riconoscibile e riconosciuta di una parte di società uscita dallo sconquasso del ’68 con la determinazione di contrastare lo statalismo, di dare strumenti di cittadinanza, di non lasciare al capitalismo l’esclusiva sulle dinamiche della produzione, in una parola di contribuire ad innovare un Paese incapace di reggere le sfide della modernità.

E a che cosa dovrebbe servire una classe dirigente se non a questo, se non a immaginare come possibile una tale realtà, a ripensare quei rapporti sociali sempre più in crisi tanto che oggi non sappiamo più bene che cosa siamo ? I nostri risultati, alla luce di uno sguardo successivo – vent’anni dopo con disincanto – sono la sensazione di una bella corsa cominciata con tante speranze che non sa dove sta andando, confermando la sensazione dei più pessimisti tra noi – o consapevoli a seconda delle interpretazioni – di una italica incapacità di reggere alla distanza alle prove della storia. E la storia, dove non ci sono isole felici, ma solo luoghi irrilevanti se non hanno prodotto cambiamenti, ci sta consegnando una società e, di conseguenza, un terzo settore, dove tutto è immobile e stagnante , dove la mobilità è assente, dove la modernità di facciata comprende 161 cellulari ogni cento abitanti ma nessun libro, dove c’è il record europeo delle ore davanti alla tivù, dove – soprattutto – serpeggia un senso profondo di incertezza e la cooperazione sociale, tirando a campare, può anche morire per mancanza di “senso”.

Oggi, a distanza di trent’anni dalla nascita, Cgm è ancora in pista e guardo con rispetto e riconoscenza non tutti ma coloro che con fatica, anche se con un’organizzazione e strumenti diversi, hanno continuato a mettere carburante nel fuoco del cambiamento senza pensare al tornaconto personale e rischiando di essere relegati al ruolo di testimonianza: a loro, alla loro intelligenza e sensibilità sociale e politica, va il mio grazie e il mio augurio perché davvero abbiamo bisogno di un nuovo inizio in questo vuoto ideale e di inettitudine che ci circondano.

Come cittadini, come cooperazione sociale, come Italia, abbiamo bisogno di regole, diverse dal passato che io ho conosciuto, ed abbiamo bisogno di priorità e obiettivi per un futuro di minori disuguaglianze: nei meriti e nei limiti della storia trentennale di un’impresa sociale nazionale e locale, un compleanno può aiutare a ricordarne la necessità ! Buon lavoro !

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