Non profit

l’italiano non rinuncia alla bellezza naturale

La bio-cosmesi aumenta le vendite

di Chiara Cantoni

Dopo i primi timidi exploit primaverili, la bella stagione ha ufficialmente inaugurato il carosello di creme, pomate e cosmetici usati per detergere, proteggere, rassodare e idratare la pelle in vista della prova costume. Un appuntamento annuale, che si traduce spesso in un tête-à-tête ravvicinato con derivati petroliferi, siliconi, rilasciatori di formaldeide, molecole di cui non è certo l’effetto a lungo termine: sostanze contenute nei più comuni prodotti di bellezza, spalmati ogni giorno sul viso e sul corpo. Assai poco incoraggiante.
Ecco allora farsi strada la via della cosmetica biologica, che sfrutta le proprietà di piante ed erbe, minimizza l’impiego di sostanze chimiche, rispetta cicli naturali e rigorosi standard produttivi: olii, fanghi, solari, make up, deodoranti, scrub, rassodanti, saponi, ecc. Un mercato dinamico, capace di attrarre, nonostante la crisi, un numero crescente di consumatori: in crescita del 32% rispetto a un anno fa, raggiungono oggi quota 2.312 i bio-ecocosmetici garantiti Icea – Istituto per la certificazione etica e ambientale, uno dei due enti certificatori italiani, insieme al più recente Ccpb – Consorzio per il controllo dei prodotti biologici, riconosciuto dal ministero dell’Agricoltura. Sono le creme viso a far la parte del leone (383), seguite dai prodotti per il corpo (288) e per la cura dei capelli (199).
Si moltiplicano di pari passo anche le case cosmetiche certificate, 125 in tutto (+70%), e il giro d’affari in salita del 22,5%: un fatturato di 7 milioni e 350mila euro nel 2008 descrive un settore in salute, fra i pochi rimasti a difendere il buon nome dell’economia nazionale, con Emilia Romagna, Lombardia e Toscana a guidare la classifica delle regioni più ecoprofumate d’Italia.
E, dal 1° settembre, il comparto avrà anche un suo standard europeo: Cosmos – Cosmetics organic standard, approvato da tutti i principali certificatori europei e promosso fra i primi dall’italiano Icea. Quali gli asset del disciplinare? «Un punto significativo è l’inserimento di criteri, materiali e metodi di “chimica verde”», spiega Riccardo Anouchinsky, responsabile Relazioni internazionali Icea. «C’è anche lo sforzo di definire criteri per un packaging eco-friendly, e una sezione specifica di “environmental management” che richiede procedure produttive a basso impatto ambientale». Due i livelli di certificazione: una per il prodotto biologico, che impone sia bio almeno il 95% degli ingredienti agricoli utilizzati, e almeno il 20% sul totale del prodotto finito; il secondo per il prodotto naturale, che non dovrà avere più del 2% di materie prime di sintesi.

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