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L’Italia vuole fare da ponte tra l’Europa e l’Africa

Migrazioni, investimenti e rivoluzione culturale. Ecco i tre pilastri della strategia del governo italiano presentata da Matteo Renzi nel suo discorso di chiusura della Prima Conferenza ministeriale Italia-Africa. Con il migration compact, l’Italia si offre come portavoce delle istanze africane presso l’UE in cambio di un loro appoggio per la conquista del seggio non permanente del Consiglio di sicurezza a cui il governo italiano ambisce. Ma non solo. Tra le svolte chieste all’UE, Renzi preme per una rivoluzione culturale che faccia dell’Africa una priorità politica europea. Spicca però l'assenza di attori come le ong, la diaspora africana e le piccole e medie imprese.

di Joshua Massarenti

L’Italia non è una grande potenza, ma siamo portatori di valori culturali che vogliamo condividere sia con l’Africa che con l’Europa. Per la sua posizione geografica e la sua storia, il nostro paese può e vuole fare da ponte tra i due continenti, anche perché non vediamo il continente come una minaccia, ma come un’immensa opportunità che può salvare l’Europa da se stessa nell’ambito di un partenariato equo e paritario.

Potremmo riassumere così il discorso con il quale il Premier Matteo Renzi ha chiuso la Conferenza ministeriale Italia-Africa che ieri alla Farnesina ha riunito 52 paesi africani con la presenza di oltre 40 ministri degli Esteri africani e una ventina di rappresentanti delle organizzazioni internazionali.

In circa venti minuti, il Presidente del Consiglio ha delineato quello che è e sarà (non solo nei prossimi giorni, settimane o mesi) la strategia dell’Italia, non solo in Africa, ma anche in Europa. E lo fa in modo intelligente. Annunciando sin dalle prime battute che “la conferenza Italia-Africa non è un evento simbolico o occasionale. Sono stato il primo premier italiano a visitare alcuni Paesi sotto il Sahara, e ho assicurato a quei Paesi che non sarà l'ultima volta. Il mondo di oggi ha nell'Africa la sua più grande speranza”. Insomma, agli africani il Premier ha voluto dire: non abbiamo organizzato questo evento con il solo intento di avere il vostro appoggio per consentire all’Italia di ottenere un seggio non permanente al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (il voto è previsto il 28 giugno), con l’Africa vogliamo fare sul serio.

Abbiamo nostalgia del futuro perché vediamo l'Africa non come una minaccia, ma come la più grande opportunità per l'Europa. A noi questo rapporto preme non solo per una questione etica e di giustizia. Ma anche per una visione politica e strategica

Matteo Renzi, Presidente del Consiglio

Ma Renzi sa che l’Italia non può offrire all’Africa quello che la Cina, l’India, gli Stati Uniti la Germania o la Francia mettono sul piatto quando dialogano con i paesi africani. Certo non siamo poi così piccoli nell’arena politica internazionale, ma come ha sottolineato a Vita.it, il ministro degli Affari Esteri tanzaniano, Augustine Mahiga, “l’Italia dimostra un interesse molto tardivo nei nostri confronti rispetto ad altri paesi, ma è meglio tardi che mai”. E non parliamo dei soliti noti occidentali o di nazioni emergenti, oggi il continente africanon fa gola a potenze di medio livello come la Turchia, la Malaisia e i paesi del Golfo arabo, che in Africa sono andati o tornati prima di noi. Basti prendere una mappa del traffico aereo internazionale e comparare i voli diretti tra l’Italia e l’Africa con quelli che collegano Ankara con il continente africano attraverso la Turkish Airlines, e si capisce perché molte piccole e medie imprese italiane, su cui il governo vuole scommettere per aumentare gli investimenti dell’Italia in Africa, temono concorrenti come quelli turchi.

Arrivare tardi come sottolinea il ministro degli Esteri della Tanzania può essere un problema, ma non è mai irremediabile. Non lo è di sicuro se durante i suoi soggiorni in Africa Renzi si fosse presentato come si presenta un presidente cinese quando “dialoga” con gli africani, e cioè mettendo sul piatto miliardi e miliardi di dollari. Nel 2012, gli investimenti diretti italiani non andavano oltre i 310 milioni di euro, mentre quelli cinesi superavano abbondantemente i 12 miliardi di euro. Non disponiamo nemmeno di una rete diplomatica capillare che ci consente di rafforzare la nostra presenza sull’insieme del continente. Per non parlare dei fondi di cui dispone la cooperazione italiana, nettamente inferiori rispetto a quelli della cooperazione britannica. Ma l’Italia ha anche i suoi atouts.

Il primo è proprio Matteo Renzi. “Il vostro paese ha in lui il suo miglior ambasciatore, un politico in grado di parlare all’Africa come pochi leader internazionali sanno fare”, sostiene con tono confidenziale un ministro africano. Senza cadere nei trionfalismi facili, la standing ovation spontanea offerta dalla delegazione africana al Premier italiano al termine del suo speech dimostra la capacità del Presidente del consiglio a entrare in sintonia con i suoi interlocutori africani. E perché le parole espresse da Renzi sono piaciute. “Parla con il cuore e con intelligenza, senza un testo tra le mani, e questo ci ha sorpreso molto favorevolmente”, assicura il ministro degli Affari Esteri senegalese. “Sa essere franco e diretto quando dice che per i rapporti tra l’Italia e l’Africa sono importanti non solo per questioni etiche, ma anche perché c’è un interesse comune, che l’Africa serve all’Italia come l’Italia serve a noi. E sa pure essere umile quando riconosce che il vostro paese non è una grande potenza”.


Il vostro paese ha in Matteo Renzi il suo miglior ambasciatore, un politico in grado di parlare all’Africa come pochi leader internazionali sanno fare

Ministro africano

Un "sistema Italia" senza Ong, diaspora africana e piccole e medie imprese

C’è poi un “sistema Italia” che si sta progressivamente mettendo in piedi e che è incarnato dalla riforma della cooperazione allo sviluppo. Alla Conferenza, l’Italia si è presentata politicamente compatta con, oltre Renzi, il Presidente Sergio Mattarella, seguito dagli artefici della macchina diplomatica italiana, Paolo Gentiloni e il Vice Ministro Mario Giro (per quanto riguarda la cooperazione internazionale e l’Africa), a cui si sono associati i ministri Alfano, Martino e Galletti. Assieme a loro c’erano Giampaolo Cantini, attuale Direttore Generale della Cooperazione allo Sviluppo, Laura Frigenti, Direttrice dell’Agenzia per lo sviluppo, la rete diplomatica, alti responsabili italiani presenti nelle istituzioni e organizzazioni internazionali (come Filippo Grandi, a capo dell’UNHCR o Stefano Manservisi, Direttore generale di EuropeAid). Spazio anche al mondo delle imprese, con in testa Eni, Enel e Finmeccanica. Non si sono invece viste le ONG e nemmeno la diaspora africana, la cui assenza nelle sessioni di lavoro desta sorpresa. Lo stesso discorso vale per le piccole e medie imprese, che la nostra diplomazia promuove in pubblico come un attore fondamentale del sistema Italia, ma che poi viene ignorato in occasioni importanti come questa.

E poi c’è il migration compact, attraverso il quale l’Italia spera fare da ponte tra l’Europa e l’Africa. Renzi del resto mette subito le cose in chiaro: “se l'Europa non cambia prospettiva e non mette al centro l'Africa, a perdere sarà l'Europa”. L’Italia, ricorda poi Renzi alla platea africana, la sua parte la sta facendo: “lavoriamo a stretto contatto con l'Unhcr, interveniamo a 360 gradi su tutti i centimetri di mare in cui possiamo intervenire. Abbiamo una grande storia, fatta di cultura e di valori. E il più grande valore è il rispetto della dignità degli uomini. Salvare vite in mare è per noi una questione di valore, di cui andiamo orgogliosi. Ma sappiamo anche che il mare è il posto più pericoloso per salvare vite umane”.

Il fatto che l’Europa metta a disposizione della Turchia molti più fondi rispetto a quanto ci offre con il Fondo Fiduciario per l’Africa deve farci riflettere.

Mankeur Ndiaye, ministro degli Affari Esteri del Senegal

Ma poi bisogna andare oltre. Ed ecco arrivato il Migration compact, la vera posta in gioco di questa conferenza. “È inutile avere atteggiamenti spot, per un solo periodo. Dobbiamo avere consapevolezza che questo fenomeno ha cause profonde e durerà anni”, ha detto il Premier. “Serve una strategia di lungo periodo, capace di costruire un'alternativa insieme ai vostri governi, ai governi africani. Al Consiglio europeo di giugno si deve discutere di questo”. E la delegazione africana sicuramente apprezzerà. Anche perché sulla questione migratoria, tra i ministri africani presenti a Roma il malcontento è diffuso. “Il fatto che l’Europa metta a disposizione della Turchia molti più fondi rispetto a quanto ci offre con il Fondo Fiduciario per l’Africa deve farci riflettere”, sostiene a Vita.it il ministro degli Affari Esteri del Senegal, Mankeur Ndiaye. Per questo, il Migration compact è un invito fatto da Renzi a Bruxelles per cambiare radicalmente i rapporti con il continente africano: i muri vanno abbattuti, gli investimenti e gli aiuti allo sviluppo demoltiplicati. E’ l’unico modo per combattere le cause dell’emigrazione africana, ovvero la povertà, le guerre e il terrorismo, rispetto al quale “l'Africa è vittima del terrorismo al pari dell'Unione europea”, ha detto il Presidente del Consiglio. “Chi pensa di risolvere costruendo muri non si accorge che sta solo imprigionando se stesso. Dobbiamo fare di più, ininziando dai grandi investimenti che siamo pronti a fare nel settore tecnologico, nell’energia, le picciole e medie imprese. Dobbiamo investire negli scambi culturali e puntare sulle infrastrutture”.

Attenzione però, “le parole sono importanti, ma devono seguire le azioni”. Lo ha ricordato, Nkosazana Dlamini-Zuma, la presidente della Commissione dell’Unione Africana il cui mandato scade quest’anno. “Ci sono molte imprese italiane già attive sul nostro continente. Ma bisogna fare di più. Vogliamo collaborare con l'Italia per lo sviluppo di piccole e medie imprese. Dobbiamo puntare sulla diversificazione della nostra economia: solo così potremo creare più posti di lavoro e dare speranza ai giovani”. A Roma, l’Italia ha voluto lanciare un messaggio chiaro: noi siamo pronti a raccogliere questa sfida. Ma l’Europa?

Aggiornato il 24 maggio 2016.

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