Istituzioni

L’Italia spaccata, ecco le ragioni di chi va a votare e di chi si astiene

Il Report FragilItalia elaborato da Area Studi Legacoop e Ipsos ci mostra un elettorato diviso (quasi) in due. La sfiducia prevale e aumenta di anno in anno, si salva ancora la figura del sindaco nei Comuni più piccoli

di Redazione

La sfiducia della maggioranza degli italiani nei confronti della politica è cosa nota, e non da oggi. Il corpo elettorale è stanco e sfibrato, spaccato tra chi è interessato alla politica e chi non lo è. Le istituzioni “elettive” vengono guardate con diffidenza, in taluni casi si salva ancora la figura del sindaco. In generale c’è una diffusa percezione che chi viene eletto in Parlamento perda subito il contatto con la gente e che chiunque sia al governo sia poco interessato alle esigenze dei cittadini. Lo conferma il Report FragilItalia “L’astensionismo”, elaborato da Area Studi Legacoop e Ipsos, in base ai risultati di un sondaggio condotto su un campione rappresentativo della popolazione italiana per testarne le opinioni relative al tema.

Lo studio ci dice anche che milioni di italiani hanno deciso di stare a casa per svariati motivi, fra cui spiccano la sfiducia nella politica ritenuta “troppo sporca”, la convinzione che chiunque sia al potere non abbia realmente intenzione di cambiare le cose, la rabbia e la voglia di protestare contro gli attuali partiti e politici, la sensazione che tutti i candidati siano uguali e tutti ugualmente poco interessanti.

Prendendo le mosse dalle ultime elezioni europee, dove l’astensionismo ha raggiunto livelli record, il Report mette in evidenza che l’aver maturato da tempo la decisione se andare o meno a votare è l’unico dato che accomuna tutti gli elettori, con una percentuale che va dal 66% per chi ha votato al 71% per chi non lo ha fatto. Per il resto, le motivazioni alla base della scelta sono chiare e decisamente distanti. Chi è andato a votare (prevalentemente over 65, residenti nel Nord Est e Centro, appartenenti al ceto medio, laureati, residenti in Comuni piccoli o sopra i 250mila abitanti) lo ha fatto soprattutto perché considera il voto un importante dovere civico (60%, con una punta del 69% nel Nord-Est e del 66% tra gli over 65), per sostenere il partito politico che sente più vicino (33%, e 40% tra gli over 65) e per dare un segnale di critica al governo (22%). Chi ha scelto di astenersi (prevalentemente la fascia 31-50, residenti nel Nord-Ovest, appartenenti al ceto popolare, con bassa scolarizzazione, residenti in Comuni tra i 30mila e i 100mila abitanti) lo ha fatto, principalmente, perché considera sporca tutta la politica (30%, con punte del 45% nel ceto popolare e del 41% tra gli elettori del Centro), perché non crede che possa cambiare qualcosa per sé stesso indipendentemente da chi vinca (27%; ma 43% tra gli over 65 e 39% tra i residenti al Centro), perché si sente stufo e arrabbiato (24% e 32% nel ceto popolare) e per protestare contro gli attuali partiti ed esponenti politici (19%; 34% nel Nord-Est, 25% nel ceto medio e tra i laureati).

Simone Gamberini, presidente di Legacoop

«Le elezioni europee lo hanno mostrato con evidenza eclatante ma il trend segna le istituzioni non solo italiane ormai da oltre un decennio», commenta Simone Gamberini, presidente di Legacoop. «Le analisi sulla crisi della rappresentanza e delle istituzioni ormai sono un classico, ma nelle analisi post voto si prende sempre atto dell’ulteriore peggioramento, e poi si procede come se nulla fosse. Ormai, però, più che ragionare sugli spostamenti di voti da un partito all’altro, occorre davvero partire dal dato più macroscopico: la percentuale dei votanti è sovente più bassa di quella dei non votanti. Davvero vogliamo continuare come se niente fosse e pensare che le nostre istituzioni, a tutti i livelli, possano fare finta di niente di fronte a questo macroscopico vulnus della democrazia? Per questo siamo andati ad esplorare non le ragioni dei votanti, ma quelle dei non votanti: l’avversione, lo sconforto, la sfiducia che stanno alla base della scelta consapevole di non votare non si affrontano né tanto meno risolvono con una riforma elettorale o presidenziale. Quanto manca perché si possa parlare di emergenza istituzionale e agire di conseguenza?».

Oltre all’attualità, l’analisi si è concentrata anche sugli aspetti strutturali che delineano atteggiamento e percezioni dei cittadini sul voto, la politica, le istituzioni. Riguardo ai driver del voto, ovvero le motivazioni reali che stanno alla base del voto, il 44% dichiara di votare i partiti attenti al caro vita (51% nella fascia di età 51-64 anni; 31% tra gli astenuti), il 35% vorrebbe partiti più attenti al tema della mancanza di lavoro (45% nelle Isole, 41% al Sud e tra i laureati), il 31% ama i partiti schierati contro i privilegi e la casta (motivo indicato solo dal 21% degli astenuti), il 29% sceglie partiti anti-tasse (21% tra gli astenuti) e il 24% dà la propria preferenza a chi combatte l’immigrazione e l’insicurezza (il 30% tra gli over 65). Da sottolineare che il 46% degli astenuti non indica nessuna motivazione alla base del voto, ma si limita a confermare l’ormai consolidata scelta di restare a casa.

Come detto, l’analisi si è concentrata anche sul rapporto dei cittadini con la politica e le istituzioni. A tale riguardo, il primo dato che emerge dal Report è che quasi sette italiani su 10 si dichiarano interessati alla politica (il 68%, che sale al 78% nel ceto medio e all’80% tra i laureati), ma solo uno su quattro lo è molto, mentre tre su 10 lo sono poco o per niente (il 31%, che sale al 43% nel ceto popolare e al 51% tra chi ha la licenza media o titolo inferiore).

Scarso il livello complessivo di fiducia nelle istituzioni, tutte sotto la soglia del 50%. Su questo sfondo, la figura del sindaco, indicata dal 43% degli intervistati, è quella che raccoglie, relativamente, maggiore fiducia da parte dei cittadini, ma con significative differenze legate alla dimensione del Comune: in quelli fino a 5.000 abitanti, il consenso sale al 51%, mentre nelle città con più di 250mila abitanti scende al 39%. Per tornare alla classifica della fiducia, il secondo posto è occupato dalla figura del presidente del Consiglio (38%), seguito dal presidente di Regione (37%), dai consiglieri comunali (35%), dai parlamentari europei (32%), dai consiglieri regionali (31%). All’ultimo posto i parlamentari italiani, che si guadagnano la fiducia del 22%. Un dato, quest’ultimo, che fa il paio con la diffusa percezione, espressa dall’80% degli intervistati, che in generale chi viene eletto in Parlamento perde presto il contatto con la gente. Un giudizio che investe anche il governo. Il 70%, infatti, dichiara di non credere che al governo interessino molto le reali esigenze dei cittadini e il 66% ritiene di non avere voce in capitolo sulle azioni del governo. Netto anche il giudizio, espresso dal 55% degli intervistati, relativo al fatto che la politica e il governo sembrano così complicati da rendere difficile ai cittadini capire cosa stia succedendo.

Analogo sentiment caratterizza la percezione sui partiti politici, che l’81% considera troppo influenzati da persone con molti soldi. Inoltre, il 74% ritiene che i partiti confondano le questioni piuttosto che fare scelte chiare e il 71% che troppi partiti rappresentino una piccola parte del Paese, piuttosto che nel suo complesso. Un dato che merita particolare attenzione è quello relativo al 40% di chi pensa che i partiti politici siano il modo migliore per rappresentare gli interessi dei cittadini, cui fanno da contraltare, con identica percentuale, quelli che ritengono i partiti non necessari. Un’indicazione che, tra chi si astiene, sale al 50%.

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