Rapporti

Italia sempre più anziana e sempre più impreparata a esserlo

In trent’anni nel nostro Paese il numero di centenari è quintuplicato, quasi un quarto della popolazione ha 65 anni e più. Significativo il divario di genere sia educativo sia occupazionale. Livia Turco: «Gli anziani sono una grande risorsa che va valorizzata. Le nonne sono l’anello forte della solidarietà intergenerazionale femminile. Bisogna promuovere lo scambio tra anziani e giovani. Dobbiamo rendere concreto un approccio biopsicosociale nell’assistenza domiciliare»

di Ilaria Dioguardi

Ferragosto Anziani a Milano Photo LaPresse - Matteo Corner

Quasi una persona su quattro tra i residenti nelle città metropolitane ha almeno 65 anni, in forte aumento rispetto a trent’anni fa (15,3% nel 1993). Incidenze più elevate nelle città metropolitane del Centro-Nord, dove gli over 75 sono sopra il 50%, e minore in quelle del Sud, con una preponderanza della fascia più “giovane” 65-74 anni, che costituisce oltre il 50% degli anziani residenti. Numeri del focus Istat “Gli anziani nelle città metropolitane” diffuso stamane, che approfondisce i dati sulla popolazione anziana residente, all’1 gennaio 2023, nelle città di: Roma, Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Palermo, Catania, Messina e Cagliari.

Le donne anziane sono una colonna delle nostre famiglie, sono l’anello forte della solidarietà intergenerazionale femminile.

— Livia Turco

Significativo il divario di genere nella popolazione di 65 anni e più: nelle 14 città metropolitane vivono 77 uomini anziani ogni 100 donne della stessa fascia d’età. Il divario educativo è diffuso ed è a svantaggio delle donne: si rilevano 110 uomini laureati anziani ogni 100 donne della stessa età. Hanno un’occupazione oltre 10 uomini anziani ogni 100 e 4 donne ogni 100. «Si conferma un divario di genere, da un lato in positivo, poiché le donne vivono più a lungo. Dall’altro, vivere più anni non significa vivere bene», dice Livia Turco, presidente della Fondazione Nilde Iotti. «Il divario che riguarda lo studio e il lavoro, costruiti nel corso della vita, non sorprende, è molto acuto e lo è stato sicuramente per quelle generazioni che oggi sono anziane. Le condizioni di vita delle donne, anche grazie alle loro lotte, erano migliorate, con un aumento, negli anni Sessanta e Settanta, della scolarità e dell’occupazione femminile; la generazione di donne over 65 di oggi è quella che ha combattuto duramente il divario di genere, è riuscita ad ottenere grandi risultati e a migliorare la sua vita. Quel gap, nonostante le conquiste ottenute, non si è riusciti a colmarlo e causa pensioni più basse e maggiori difficoltà», continua Turco. «Sottolineo che le donne anziane sono una colonna delle nostre famiglie: sono le nonne che aiutano le figlie con i nipoti. Sono l’anello forte della solidarietà intergenerazionale femminile. Pensiamo al recente periodo dell’emergenza pandemica e alla fine del 2008, quando ci fu la crisi finanziaria: se non ci fosse stata questa catena intergenerazionale femminile il welfare italiano non ce l’avrebbe fatta. Le donne tra i 65 e i 74 anni, nella nostra società, sono un soggetto forte indispensabile e che svolge una grande funzione sociale che è quella di aiutare un welfare molto precario».

Livia Turco

Secondo il Censimento 2021, nei contesti urbani metropolitani risiedono in convivenza quasi 50mila persone di 65 anni e oltre (circa 10 anziani ogni 1.000 abitanti), di cui oltre la metà accolta presso un istituto assistenziale (ospizi, case di riposo per adulti e inabili al lavoro), il 36% è accolto in convivenze ecclesiastiche e la restante quota nelle altre tipologie di convivenza. Nel 2020 in Italia, l’1% degli anziani ha fatto uso dei servizi socio-assistenziali offerti dai Comuni, segnando un calo del 4% rispetto al 2011. «I dati relativi ai servizi sociali sono cruciali. Quando gli anziani hanno bisogno di protezione, le case di riposo e le RSA continuano ad essere prevalenti, mentre l’assistenza domiciliare è ultra carente e molto disomogenea sul territorio nazionale», prosegue Turco. «Per questo è necessaria una riforma sulla non autosufficienza che investi fortemente sulla domiciliarità. L’accesso ai servizi nei comuni, per superare la forte disomogeneità, deve avere i Livelli essenziali di assistenza – Lea, che siano vincolanti, che abbiano risorse ed è indispensabile che, insieme ai distretti sanitari, ci siano i distretti sociali. Questo è stato scritto nella legge finanziaria del governo Draghi del 2021, come anche gli Ambiti Territoriali Sociali Ats per i quali è necessario che ci sia una strutturazione del servizio sociale, che è il punto unico di accesso a cui mi posso rivolgere, è l’amico di famiglia che mi dà informazioni e intercetta il disagio, è fornito di un’equipe multidisciplinare, è una struttura complessa. Bisogna avere, quindi, una strutturazione del sociale. Mi sono sempre battuta e continuo a battermi affinché, insieme al distretto sanitario, ci sia il distretto sociale. C’è un disegno di legge delega che investe moltissimo sul sociale, sull’integrazione socio sanitaria, sulla domiciliarità e sulla continuità assistenziale».

La presidente Turco sottolinea la necessità di mettersi d’accordo su cosa si intende per domiciliarità. «Se a casa di una persona anziana va due volte a settimana un operatore socio sanitario – oss e altre due volte un infermiere, ma queste due figure poi non si parlano e fanno riferimento ad ambiti diversi, i bisogni della persona non sono valutati secondo un approccio biopsicosociale, cioè prendendo in carico la persona nella sua complessità, nella pluralità dei suoi bisogni. Smettiamola con un atteggiamento puramente prestazionale (che finora prevale)». Nell’assistenza domiciliare bisogna realizzare, secondo Turco, un «cambiamento di paradigma, basta con queste canne d’organo della sanità da una parte e del sociale dell’altra. Questo è il salto che va fatto: bisogna investire sul sociale e sulla domiciliarità. L’approccio biopsicosociale presuppone che, per ogni persona, venga costruito insieme un progetto di cura, personalizzato e multiprofessionale, tenendo conto della situazione concreta, tra la famiglia, i servizi sociali e sanitari e il Terzo settore. È fondamentale la figura del caregiver, è molto importante il coinvolgimento del volontariato presente nel territorio e le professioni devono imparare a lavorare insieme. L’assistenza domiciliare vede la persona al centro, tiene conto che possa avere una molteplicità di bisogni, che possono essere anche un’ora di compagnia. Bisogna farsi carico anche della situazione di solitudine delle persone: è uno dei grandi problemi che attraversa tutte le componenti sociali del nostro paese». Nel 2021, nelle 14 città metropolitane, gli anziani che formano una famiglia unipersonale sono quasi un terzo del totale della rispettiva fascia d’età, raggiungendo il 37% nel territorio di Genova. Nei comuni capoluogo l’incidenza di famiglie unipersonali di anziani si innalza, arrivando a sfiorare il 40% a Milano, seguita dagli altri capoluoghi del Nord: Bologna, Torino, Venezia e Firenze.

Il gran numero di volontari over 65 conferma quanto occorra puntare sull’invecchiamento attivo.
Le scuole promuovano sempre più scambi tra ragazzi e anziani, questi ultimi possono trasmettere alle nuove generazioni competenze, fiducia, storia, memoria.

Livia Turco

Livia Turco ci regala due ultime riflessioni sul volontariato e sull’importanza del rapporto intergenerazionale. «Il gran numero di volontari over 65 nel nostro paese conferma quanto occorra puntare sull’invecchiamento attivo. L’allungamento della vita fa sì che gli anziani siano una grande risorsa, anche qui bisogna cambiare paradigma: gli anziani sono una grande forza della società, bisogna valorizzare la partecipazione attiva del volontariato che può avvenire nelle associazioni e nelle famiglie. Credo che sia molto importante puntare sul rapporto intergenerazionale, bisogna costruire tanti progetti in cui i giovani e gli anziani si incontrino. Le scuole promuovano sempre più scambi tra ragazzi e anziani, questi ultimi possono trasmettere alle nuove generazioni competenze, fiducia, storia, memoria. Su questo filone insiste anche papa Francesco, sempre molto saggio».

La foto in apertura è di Matteo Corner per LaPresse


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