Non profit

L’Italia nel Tornado

Raid aerei decisi in fretta, dubbi politici e paura di ritorsioni da parte di Gheddafi

di Franco Bomprezzi

Siamo in guerra, non dichiarata, contro la Libia di Gheddafi. Comincia così la settimana degli italiani, con notizie confuse, decisioni prese nel fine settimana, raid aerei non solo autorizzati, ma che vedono impegnati anche i nostri caccia. I giornali cercano di raccontare tutto questo nell’edizione del lunedì.

Le prime 17 pagine del CORRIERE DELLA SERA sono dedicate alla crisi libica. Il titolo a tutta pagina in prima: “Gli aerei italiani contro Gheddafi”. Continuano i raid aerei sulla Libia: in azione, ieri, anche i Tornado italiani. Bombe vicino al bunker di Gheddafi. Proteste della Lega Araba. La minaccia del Colonnello: “Sarà una lunga guerra. Italia traditrice. Alla fine vinceremo noi”. L’editoriale è di Angelo Panebianco: “Noi rischiamo di più”. Un passo: “Noi siamo quelli che rischiano di più. Non solo economicamente ma anche fisicamente. Siamo il Paese più vicino e il più esposto alle ritorsioni. Per carità di patria sorvoliamo sulle contorsioni fatte in questi giorni dal nostro governo (e speriamo anche che rientri il dissenso, che non conviene a nessuno, della Lega). Limitiamoci a riconoscere che noi avevamo, e abbiamo, obiettivamente, fra gli occidentali, la posizione in assoluto più difficile. Il calcolo costi/benefici è diverso per l’Italia e per la Francia”. E più avanti, ancora Panebianco: “Dovremmo, in primo luogo, impegnarci fin da subito, a guerra ancora in corso, in un piano di ricostruzione della Libia. Su questo terreno, grazie ai nostri storici rapporti con quel Paese, abbiamo un possibile vantaggio rispetto agli alleati e dovremmo sfruttarlo al massimo. Abbiamo bisogno di riprendere l’iniziativa e siamo certamente in grado di farlo più nell’ambito economico-civile che in quello strettamente militare (ove il nostro apporto non potrà essere determinante). Dovremmo, in secondo luogo, dimostrare al nostro Paese che la classe dirigente, di governo e di opposizione, è all’altezza della sfida che abbiamo di fronte. L’importanza della vicenda libica è tale che si rende necessario un dibattito parlamentare in cui maggioranza e opposizione spieghino agli italiani i tanti risvolti (sul piano militare, sul piano economico, su quello delle minacce terroristiche, su quello relativo agli sbarchi dei profughi) che ha per noi la guerra libica e mostrino, per una volta, la più ampia concordia di intenti possibile di fronte a una così grave crisi”. Fra i tanti servizi, degno di nota, a pagina 6, “Il Colonnello e le donne emancipate per forza” di Viviana Mazza, con la collaborazione di Farid Adly. Leggiamo: “Negli anni, Gheddafi ha esaltato spesso il ruolo delle donne nella società, anche come sfida agli integralisti religiosi. Ma con forti contraddizioni. Su sua indicazione, il governo ha vietato la poligamia e istituito l’obbligo di servizio militare per le donne. Però, nel suo Libro Verde, che viene studiato a scuola in Libia, c’è scritto: «La donna è femmina e l’uomo è maschio. La donna ha le mestruazioni, quindi almeno per un giorno al mese non dispone della sua vitalità completa. Ed è per questo che gli uomini hanno dominato nella Storia» . In certi casi, il Colonnello ha usato le donne per fare il «lavoro sporco» . Nel 1984, fece organizzare ad una giovane di famiglia povera, Huda Ben Amer, l’esecuzione di un ingegnere, Hamed Al-Shuwehdy, tornato dagli Usa e accusato di complotto contro lo Stato: fu impiccato nello stadio di Bengasi di fronte a migliaia di studenti che lei aveva provveduto a convocare dalle scuole della città. E’ diventata sindaco di Bengasi. Allo scoppio della rivolta, è fuggita a Tripoli, e appare al fianco di Gheddafi in un video recente”. Alle pagine 8 e 9 il CORRIERE dedica l’analisi del nostro intervento militare: “Partiti i nostri Tornado. Incursioni senza limiti”, mentre di spalla viene raccontata la vicenda della nave con otto marinai italiani sequestrata da uomini armati. In basso Fiorenza Sarzanini spiega: “Intelligence in allerta. E’ la prima ritorsione”. Ecco cosa scrive la Sarzanini: “L’l’irruzione sul rimorchiatore e la scelta di tenere prigionieri i marinai— anche se l’azione dovesse risolversi entro poche ore — rappresenta comunque un segnale preciso, manda un messaggio chiaro: l’Italia è il nemico e può essere colpito. Nella lista degli avversari di Gheddafi il nostro Paese è ormai in cima e questo preoccupa gli apparati di sicurezza, al di là delle dichiarazioni ufficiali che invitano a non avere paura. Anche perché i libici hanno informazioni privilegiate sul nostro Paese che derivano proprio dalla collaborazione strettissima — soprattutto dal punto di vista economico — che ha funzionato fino a un mese fa. E dai rapporti personali tra il Colonnello e il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi, ma anche tra l’establishment libico e i politici di tutti gli schieramenti, destra e sinistra, che in alcuni casi hanno addirittura ostentato e rivendicato l’amicizia con il Raìs. Oltre alle «commesse» milionarie ottenute dalle aziende italiane, per capire quanto fosse continua questa cooperazione basti pensare che la concessione della piattaforma di Bouri è affidata alla «Mellita Oil and Gas» , società a capitale misto libico italiano. Rapporti che ormai appaiono definitivamente chiusi e questo — concordano gli analisti — mette in serio pericolo il nostro Paese, lo espone a ritorsioni che al momento appaiono difficili da prevedere anche se i timori riguardano il sequestro di connazionali in territorio libico e possibili azioni di terrorismo su suolo italiano”. A pagina 13 la posizione del presidente Napolitano: “L’Italia non è entrata in guerra. Evitare l’allarmismo”. Ma i dubbi politici vedono sorgere un arco sorprendente: “Da Ferrara a Formigoni: e se la missione fosse un errore?”. Una pagina dedicata alle cautele di Obama, e infine un pezzo di Aldo Cazzullo sul protagonismo francese, a pagina 17: “L’impresa (facile) di Nicolas l’Africano”. “L’intervento in Nordafrica resterà un merito per il presidente francese, soprattutto se— com’è auspicabile e forse anche probabile— il colpo della comunità internazionale consentirà ai libici di scalzare finalmente il dittatore – scrive Cazzullo -. Ma per marcare quel merito agli occhi dei connazionali e del mondo, Sarkozy ha adottato uno stile quanto meno discutibile, da piccolo Napoleone. Ha tenuto ad aprire il fuoco per primo, sia pure in modo poco più che simbolico, senza aspettare nessuno, neppure Obama. Si è mosso per scavalcare la Nato, rispolverando l’antica diffidenza di de Gaulle che dalla Nato era uscito. Ha riservato a Cameron un abbraccio paternalistico, ha trattato la cancelliera «pacifista» Merkel come un’imboscata, ha aperto il vertice di Parigi senza neppure aspettare Berlusconi. La Francia però sta dall’altra parte del Mediterraneo rispetto alla Libia. L’Italia è appena a un braccio di mare”. 

LA REPUBBLICA  apre sulla guerra: “Caccia italiani sulla Libia” e, in taglio medio, “Sulla missione si spacca la maggioranza”. La missione Onu occupa 20 pagine del giornale diretto da Ezio Mauro. Le prime 14 delle quali raccontano il terreno di scontro: i primi raid, anche italiani, gli obiettivi colpiti tra cui un palazzo dove ci sarebbe il bunker del Raìs e nei cui pressi invece le autorità libiche sostengono abitassero solo civili. Sul fronte interno, Gheddafi continua a assediare Misurata (dove ci sarebbero stati 100 morti fra sabato e domenica). Anche a Bengasi la situazione è confusa, con gli insorti che invitano i lealisti ad abbandonare Gheddafi. Quanto alla politica italiana, mentre un rimorchiatore italiano è stato sequestrato con i suoi 8 marinai, “il governo si spacca sull’intervento la Lega: le navi respingano i profughi”. Ovvero prove tecniche di responsabilità: sulla missione Calderoli intervistato da Alberto D’Argenio spiega che c’erano state «garanzie che prima di qualsiasi azione ci sarebbe stato un passaggio in Parlamento e non solo nelle commissioni». Invece dei ministri si sono spinti oltre: «vogliamo che questa resti un’operazione umanitaria e non colonialista, mentre ora la risoluzione Onu non è del tutto convincente con quello che stanno facendo». Quanto ai possibili fuggitivi, il ministro spiega: «i profughi non c’entrano niente e li dobbiamo aiutare, però quello che sta succedendo a Lampedusa può ripetersi su tutto il territorio nazionale e la situazione rischia di diventare insostenibile». Come i leghisti, anche i responsabili chiedono un passaggio parlamentare. Quanto al Pd, appoggia la decisione Onu ma precisa: «l’Italia ora è debole perché il governo ha due linee senza una maggioranza  a sostegno dell’intervento» (una posizione espressa da Bersani e da D’Alema). Nel retroscena Francesco Bei descrive un cavaliere spiazzato dal suo amico Sarkozy: «la Francia ci ha spiazzato, ha deciso senza consultarci, e noi non potevamo restare fuori da una guerra che si svolge a mezz’ora di volo». Aggiunge Crosetto, sottosegretario alla Difesa: «stanno bombardando il paese da cui l’Italia dipende per il 14% del gas e il 26% del petrolio… Stanno distruggendo le basi della nostra diplomazia commerciale e il nostro sforzo è ora quello di non perdere posizioni nel dopoguerra». Insomma è evidente che sulla situazione non si è riflettuto a sufficienza. La Chiesa chiede attenzione ai civili e tempi rapidi (come ha sollecitato ieri all’Angelus, il Papa), mentre il popolo (sia di destra che di sinistra) esprime forti perplessità on line. Tra chi condanna l’azione, Gino Strada,  Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione comunista, e Nichi Vendola: «la risoluzione dell’Onu contiene vari ingredienti e poteva essere letta in molti modi. Si è scelta la strada più rischiosa»; «noi siamo stati non solo indifferenti ma complici, insieme con l’Europa intera, delle malefatte di Gheddafi e di tutti i raìs del Mediterraneo in questi anni… tra l’indifferenza e la guerra la terza opzione è la politica del negoziato». Nel suo commento, Lucio Caracciolo (“Affidiamoci allo stellone”) sottolinea che questa è la guerra dai Sarkozy (cui ci accodiamo per il famoso strapuntino del dopo) mentre Ilvo Diamanti si occupa della percezione degli italiani che hanno in questi tempi giudicato gli avvenimenti nordafricani molto lontani e l’Italia si è trovata coinvolta «quasi per caso. In contrasto con la volontà di gran parte degli italiani».

«L’Italia si blinda» è questo il titolo scelto da IL GIORNALE per aprire l’edizione odierna e alla guerra contro la Libia di Gheddafi sono dedicate le pagine fino alla 15. Il primo commento nello spazio dell’editoriale è affidato a Magdi Cristiano Allam con il titolo “Occhio agli estremisti” osserva Allam che in questa guerra «(…) l’unica vera certezza, al di là delle reali intenzioni che l’hanno scatenata e dei suoi ipotetici sviluppi regionali e internazionali, è che a vincere saranno gli integralisti islamici e che, di riflesso, le popolazioni delle sponde meridionale e orientale del Mediterraneo saranno sempre più sottomesse alla sharia, la legge coranica che nega i diritti fondamentali della persona e legittima la dittatura teocratica» insomma: «esito che è esattamente l’opposto dei proclami ufficiali di Sarkozy e Obama straripanti delle parole d’ordine “libertà” e “democrazia”». Marcello Veneziani firma invece sotto l’occhiello “I dubbi del conflitto” firma il pezzo “Quanti sbagli per un obiettivo giusto. Cacciare un dittatore fuori controllo è una buona causa, ma l’attacco militare resta un errore” che occupa buona parte della pagina 9. Scrive Veneziani: «(…) Capisco la necessità di allinearsi alle Nazioni Unite, agli alleati, ai francesi e ai gruppi di pressione internazionale, ma temo che l’attacco militare sia un errore di cui pagheremo le conseguenze. Non so come fanno a colpire Gheddafi senza colpire le popolazioni civili al cui soccorso diciamo di andare.(…)» seguono poi tanti «non so…» sul futuro e il rischio di una «Libia somalizzata» e le reazioni del mondo arabo e le ragioni vere dell’intervento poi ancora il petrolio e l’ultimo: «Non so, infine, se per noi italiani che siamo così vicini alla Libia sia un bene entrare in una guerra nel condominio mediterraneo. (…)» e dopo tutto un ragionamento che parte dall’epoca di Andreotti e finisce all’oggi conclude patriotticamente: «Comunque se l’Italia interviene, a torto o a ragione, sto col mio Paese». Si sviscerano un po’ tutte le questioni nelle numerose pagine dedicate al conflitto: dalle azioni militari, agli interventi di Gheddafi e alle sue minacce, dall’allerta terrorismo con tanto di cartina dei luoghi a rischio in Italia. A pagina 7 c’è l’intervista al ministro La Russa che viene ritratto in una foto del 2010 in Afghanistan in cui indossa la giacca della mimetica. Tra le affermazioni del ministro: «Siamo in campo per difendere il popolo, la missine durerà tutto il tempo necessario». E ancora «Stare nell’alleanza ci protegge da ritorsioni». Sulla posizione della Lega risponde: «(…) voglio far notare che la Lega non ha votato contro, il che avrebbe ostacolato la Risoluzione, ma non ha partecipato al voto. Poi, il ragionamento è lo stesso. Partecipando alla Coalizione guadagniamo l’autorevolezza per chiedere una redistribuzione dei pesi dei flussi migratori». A pagina 11 si dà spazio ai malumori della Lega che IL GIORNALE spiega con il fatto che «Non chiede lo stop dell’intervento Onu, ma il rispetto di due condizioni: distribuzione dei profughi tra gli Stati alleati e blocco navale per arginare l’esodo. La base applaude Bossi: “Giusto smarcarsi, così la responsabilità cadrà sul Pdl”». A pagina 15 chiude la serie degli articoli sul conflitto e dintorni un articolo economico sul business in cui si ricorda che l’Italia è «il primo partner commerciale di Tripoli e dalla Libia giungono 18 milioni di tonnellate di greggio» senza dimenticare che «Le enormi potenzialità dei giacimenti fanno gola: oltre 40 le compagnie che sono in gara per le esplorazioni».

Nessun lancio in prima per la versione del lunedì de IL SOLE 24 ORE, notoriamente chiuso il venerdì precedente e che quindi si è perso le ultime notizie dalla Libia. In compenso, a pagina 14, un paio di articoli fanno il punto delle situazione sul commercio dei sistemi d’arma destinati al Maghreb. Paolo Migliavacca scrive «La Libia, alle prese con una vera e propria guerra civile sempre più cruenta e sotto pressione delle Nazioni Unite, sta dando fondo ai suoi arsenali bellici. Aerei, carri armati, artiglieria leggera e “katiushe”, armi contraeree e kalashnikov giacciono in quantità sempre crescenti ai bordi delle strade. E andranno prima o poi rimpiazzati. Ma questo non sembra il momento più propizio per i “mercanti di armi”». La Russia risulta la vittima più illustre: la stima dei contratti che Mosca perderà in tutto il Nordafrica e Medio Oriente è di ben 10 miliardi di dollari, di cui da 4 a 6 con Tripoli, da 2 a 3 con l’Algeria, un altro paio con la Siria e il resto con Kuwait, Giordania e Yemen. Altri candidati a tagli (tra il 10 e il 15% almeno dei budget) o a significativi rinvii di spesa appaiono l’Egitto e tutti i paesi della riva sud del Golfo. Giorgio S. Frankel, invece, sottolinea come «Nel supermarket mediorientale delle armi operano una trentina di fornitori, ma il vero business è in mano a Usa, Francia e Gran Bretagna, oltre a Russia e Cina, il cui ruolo è più limitato». La “rivolta araba” che da gennaio scuote il Medio Oriente e il Nordafrica, potrebbe mettere a repentaglio il continuo boom della domanda regionale di armi. Il mercato da sogno diverrà forse un paradiso perduto? Per placare le proteste interne, i regimi arabi hanno annunciato nuovi piani di spese sociali che potrebbero ridurre i fondi disponibili per le spese militari. L’Irak acquisterà cibo per 5 milioni di poveri con 900 milioni di dollari già stanziati per un ordine di 18 caccia americani F-16.

Una foto con i bombardamenti sulle postazioni militari di Gheddafi apre LA STAMPA: “Libia, caccia italiani in azione” è il titolo in prima, con un seguito di undici pagine di cronaca, reazioni politiche e corsivi sull’attacco al regime libico. In primo piano ovviamente la partecipazione italiana: “Partono i Tornado da Trapani: missione distruggere i radar” è il titolo di pagina 3 e nella pagina seguente si dà conto del sequestro della nave italiana in acque libiche: gli 11 membri dell’equipaggio stanno bene e hanno telefonato ai famigliari, «l’obiettivo forse è un attacco ai pozzi dell’Eni» si legge nel sommario. Sull’azione degli Usa LA STAMPA intervista Robert Kaplan, analista del Center for new American security di Washington che fa un paragone con la Serbia di Milosevic: «Stanno tentando di far cadere Gheddafi come avvenne con Milosevic negli anni Novanta» e a pagina 7 il titolo del pezzo del corrispondente da New York è “Un nuovo Kosovo per Obama”. LA STAMPA interpreta come un “Via libera della Chiesa” le reazioni delle gerarchie ecclesiastiche sull’intervento in Libia, così titola infatti un pezzo a pagina 9: “Via libera della Chiesa” anche se il titolo finisce con “Salvate la popolazione”. «In Segreteria di Stato si riconosce l’urgenza di disarmare un dittatore che massacra e tiene in ostaggio i suoi cittadini» scrive il vaticanista de LA STAMPA. «A differenza dell’esplicita condanna per la guerra in Iraq e in analogia al sostanziale sì all’intervento anti-talebani in Afghanistan, la Chiesa riconosce i motivi umanitari dei raid aerei contro Gheddafi» chiosa LA STAMPA. Diversa rispetto al vertice della piramide la valutazione del vescovo di Tripoli Innocenzo Martinelli, secondo il quale l’azione militare è stata fin troppo repentina e si sarebbero dovuti fare ulteriori tentativi sul piano negoziale».

E inoltre sui giornali di oggi:

GIAPPONE
CORRIERE DELLA SERA – Solo due pagine, oggi, dedicate al dramma del Giappone: la 20 e la 21, con le ultime notizie da Fukushima: “Accuse alla Tepco: «Ha ritardato il raffreddamento»”, la storia di due miracolosi salvataggi: “Il miracolo di Sumi e Jin, vivi grazie agli yogurt”, e un reportage da Osaka: “Nella città tutto è sparito, anche i corpi”, la vicenda incredibile di Minami Sanriku, città inghiottita dallo tsunami. “Erano 8 mila, non si trova nessuno”.

LAVORO
ITALIA OGGI– Brutte notizie per i giovani in cerca di lavoro. Secondo il pezzo  “Occupazione in crisi fino al 1013”, gli effetti negativi sul mercato del lavoro dureranno fino al 2013. Lo sostengono i direttori del personale interpellati da un indagine effettuata da Gipd, associazione direttori risorse umane, sul tema “Imprese e Sindacati:il futuro dei loro rapporti“ che il quotidiano dei professionisti pubblica a pag 55 nella sezione Risorse Umane. Oltre al pessimismo, la ricerca indica anche delle vie d’uscita: la variazione dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, lo sviluppo della previdenza complementare  e dell’assistenza sanitaria integrativa. Il 90% dei responsabili Hr «ritiene prioritario il passaggio delle risorse disponibili dal sostegno del reddito per la disoccupazione ad interventi a favore di nuova occupazione o ricollocazione».

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