l’Italia ha vinto le europee. Cogliamo i frutti della vittoria

di Filippo Addarii

L’Italia ha vinto le elezioni europee. Ora pero’ non e’ tempo di adagiarsi sugli allori o recriminare. Bisogna recuperare il ritardo accumulato negli anni sviluppando una strategia europea per il paese. Servono politiche per rilanciare lo sviluppo dell’Italia e dell’Europa.

Suonero’ come un disco incantanto ma io punterei su quelle nuove forme di produzione economica e sociale che vanno sotto il nome di imprenditorialita’, innovazione e investimenti sociali.

Nulla di nuovo. Esiste una tradizione secolare in Italia cosi’ come in tanti altri paesi europei.

Anche a Bruxelles queste idee stanno maturando da piu’ di dieci anni. Hanno fatto la loro prima comparsa nelle negoziazioni iniziali per il primo piano di sviluppo economico 2000 -10 (l’Agenda di Lisbona) e  hanno persino acquisito maggiore peso con le tempeste economiche-finanziarie degli ultimi anni.

Pero’ soltanto ora le costellazioni dei diversi calendari politici si stanno per allineare creando il momento perfetto. L’Italia sapra’ cogliere l’occasione?

Tra un mese l’Italia prende le redini dell’Unione Europea per sei mesi, proprio quando si dovranno definire tutte le nuove cariche dell’Unione e il suo nuovo programma di lavoro. La task-force sugli investimenti sociali del  G8 presentera’ una proposta per gli standard internazionali di questo nuovo mercato, e il tema sara’ proposto alla riunione di Novembre del G20 offrendo la possibilita’ di allargare il mercato alle maggiori economie nel mondo.

Se  il governo italiano e’ determinato nella  sua azione di  rinovamento suffragata dagli elettori, ed e’ sincero nella  volonta’ di coinvolgere tutti i settori della societa’ civile che sono pronti e capaci di dare un contributo, e’ a quest’ultima che ci si deve rivolgere. Li si trovano gia’ le soluzioni per le nuove policy.

Diamo un nome a questa storia. Le politiche per loro natura sono sempre troppo astratte per essere comprese dai non addetti ai lavori. Bisogna affibbiargli una faccia per renderle comunicative.

In piu’ la personalita’ in questione si presta anche per ribadire una seconda lezione: l’innovazione politica non si fa piu’ nelle sedi istituzionali ma si coltiva nella societa’ civile, come ammisse Clinton lasciando la Casa Bianca.

Dopo aver lasciato Montecitorio, Giovanna Melandri e’ diventata la paladina di un modo nuovo di intendere la finanza che sta catturando sempre piu’ l’attenzione di policy-maker italiani ed europei.

Le  sue diciture sono tante  – finanza  d’impatto, investimenti sociali, impact investing etc- e sicuramente il fenomeno non e’ nuovo. Da due secoli esiste il credito cooperativo, le mutue e, in anni piu’ recenti, si e’ diffuso il microcredito e sono sorte banche specializzate: Banca Etica e Banca Prossima.

Volendo ci si potrebbe cimentare in un esercizio di ricerca storica e rintracciare le radici di questo tipo di finanza nei monti dei pegni e simili organizzazioni di origine  cattolica. Ma lasciamo questo compito a Zamagni che e’ maestro nel campo.

Comunque il tema cetrale e’ sempre lo stesso:  riallineare interessi privati e bene pubblico riportando la finanza al servizio dello sviluppo economico e sociale. Dopo la crisi finanziaria mondiale e le sue ricadute sulla crescita economica, non dovremmo stupirci che questo sia diventato parte dell’agenda politica. Anzi e’ quasi sicuramente soltanto l’inizio di un cambiamento storico.

Devo ammettere che accolsi con scetticismo la notizia che Giovanna Melandri stava per inaugurare la Human Foundation: una nuova fondazione per la promozione della filantropia, della responsabilita’ sociale d’impresa, e dell’impact investing in Italia. Temevo che fosse l’ennesima iniziativa in un paese in cui si comunica troppo e non si fa abbastanza; dove i gruppi di interesse dedicano maggiori risorse a bloccare l’innovazione che a produrla.

Mi sono dovuto ricredere. Ormai da tempo mi sembra che l’Italia stia vivendo una stagione di rinnovamento. Dopo un lungo e quasi interminabile letargo il paese si e’ risvegliato. La finanza d’impatto e’ uno dei temi caldi. Se non sbaglio introdotto in Italia con la normativa a favore delle start-up. Non mi stupirei vista la contrazione della  fiscalita’, i limiti alla spesa pubblica e il bisogno di investimenti per rilanciare la crescita.

Dal mio osservatorio periferico ho percepito che qualcosa si stava muovendo quando, l’anno scorso, ho ricominciato il paese natio con maggiore frequenza avendo avuto la fortuna di essere invitato a partecipare all’advisory board italiano della taskforce del G8 sulla finanza d’impatto. Giovanna lo presiede in quanto rappresentante del governo insieme a Mario Calderini e Mario La Torre.

Quello che mi aspettavo essere un semplice esercizio di rubber  stumping delle proposte del governo britannico – per non dire di Sir Ronald Cohen – si e’ trasformata in un’opportunita’ per coinvolgere tutti gruppi di interesse coinvolti nella ridefinizione di un modello di sviluppo economico e sociale che in qualche modo si ispira ai valori del movimento copperativo e del volontariato, ibridati con i principi dell’impresa e del  capitalismo.

Mi ha stupito in particolare la capacita’ di Giovanna di portare tutti intorno a un tavolo, persino banche e fondi d’investimento. Dopo l’esperienza negativa del gruppo di esperti sull’imprenditorialita’ sociale creato dal Commissario Europeo Michel Barnier (GECES) non credevo piu’ che fosse possibile trovare un terreno comune tra tradizione e innovazione, tra profit e non-profit. Mi sono dovuto ricredere anche in questo caso.

Di certo l’elemento critico di questo percorso e’ che finalmente  si  e’ compreso  che questo e’ un nuovo paradigma  per lo sviluppo, e non una semplicemente riforma del non-profit.  Qui si sta cercando di imbrigliare le forze del capitalismo per metterle  al servizio della societa’ e del bene pubblico. Una metafora con cui ci si  dilettava gia’ nella Repubblica di  Platone.

Putroppo pero’ tale consapevolezza non risulta dalla lettura del testo delle linee guida del governo per  la consultazione pubblica sulla riforma del terzo settore. Io ho madato un tweet a Renzi per avvisarlo. Speriamo che  lo legga.

Del resto se questo percorso sara’ portato fino in fondo si apriranno nuove strate non soltanto per rilanciare la crescita ma per moltiplicarla in tutte le direzioni: una gestione efficente e partecipata di beni comuni come acqua, energia e patrimonio artistico; la trasformazione del Welfare in senso espansivo e sostenibile; la ridefinizione della relazione tra  lavoro e impresa all’insegna della giusta condivisione di rischi e benefici; un nuovo ruolo publico per la finanza privata;  nuovi spazi per le tecnologie della condivisione e della co-produzione; l’integrazione tra realismo delle relazioni internazionali e idealismo della cooperazione per lo sviluppo. In ultima analisi si tratta di sottoscrivere un nuovo contratto sociale ripensando la relazione tra cittadini e istituzioni, tra pubblico e privato.

Questo e’ il piano per la societa’ di un futuro che e’ gia’ tra noi. Questa e’ una bozza dell’agenda italiana per l’Europa @matteorenzi


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