Salute

L’Italia fa autogol sulla ricerca

Nel recepire la direttiva europea sulla tutela degli animali in laboratorio, l'Italia introduce nuove regole. Secondo gli scienziati in questo modo ci mettiamo al di fuori della possibilità di fare ricerca di base

di Sara De Carli

L’Italia, per sua stessa scelta (colpa), potrebbe essere l’unico Paese in Europa e nel mondo a rimanere senza ricerca di base. E di conseguenza, a cascata, senza ricerca biomedica. L’allarme arriva dagli scienziati, che si stanno mobilitando contro le modifiche apportate all’articolo 12 della Legge di recepimento della Direttiva 2010-63-EU del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 22 settembre 2010, sulle regole per la protezione degli animali utilizzati nei laboratori scientifici.

A inizio luglio il Senato ha approvato un emendamento che modifica l’articolo 12 della direttiva, inasprendola rispetto a quanto previsto dall’Europa. L’appello “Sperimentazione animale: fermiamo lo stravolgimento della Direttiva europea!” lanciata dal Gruppo 2003 per la ricerca pubblicato su Scienzainrete.it nel solo week end ha raccolto 1.400 firme, mentre personaggi del calibro di Silvio Garattini stanno facendo appelli allo stesso ministro Maria Chiara Carrozza perché «non si appiattisca sul populismo di alcuni suoi colleghi» e l’articolo in questione sia «stralciato e completamente rivisto». La bozza di ricepimento tra l’altro, ponendo ulteriori divieti che non ci sono  nella legge europea, ci porrebbe in una condizione di infrazione. Grande preoccupazione anche da parte delle associazioni di malati rari, che sanno quanto la ricerca di base sia importante e che questo blocco fermerebbe in particolare quella “ricerca spontanea” che esse stesse portano avanti. La Consulta Nazionale delle Malattie Rare Infatti invita a firmare l’appello di Scienzainrete, come pure Carlo Hanau, presidente di FEDERAMRARE – la federazione associazioni malattie rare dell'Emilia Romagna – che spiega che «le malattie rare hanno molto bisogno di ricerca, perché quasi nessuna di esse – e sono 7mila – ha la fortuna di avere una cura efficace».

La legge italiana dovrebbe recepire lo spirito e la sostanza della Direttiva EU, che non vieta l’utilizzazione degli animali ma indica i principi da rispettare nel loro uso e allevamento a fini sperimentali. L’Art. 5 della Direttiva, infatti, stabilisce che gli animali possono essere utilizzati per la ricerca di base e per quella biomedica, finalizzata allo studio delle malattie ed al loro trattamento: così l’analisi fatta dagli scienziati. Che proseguono: «L’attuale art.12, però, stravolgendo il principio ispiratore e le indicazioni della Direttiva, introduce invece una serie di divieti che colpiscono, la ricerca di base, la ricerca finalizzata alla cura delle malattie (ricerca traslazionale) e l’allevamento degli animali da esperimento. Come scienziati siamo fortemente preoccupati del fatto che, se applicati, i divieti contenuti nell’art. 12, produrranno inevitabilmente il blocco dei finanziamenti, sia futuri che già attribuiti, alla ricerca di base, e di fatto l’impossibilità di praticarla. In questo l’Italia sarebbe unica tra le nazioni europee e mondiali. Ma non è solo la ricerca di base ad essere in serio pericolo, anche la ricerca biomedica finirebbe per isterilirsi, privata dell’apporto della ricerca di base». Per gli scienziati insomma l’Italia «si dimostra più realista del re, visto che, per l’uso degli animali transgenici, la direttiva europea non prevede alcuna norma speciale, diversa da quelle che si applicano agli altri animali».

Il punto più contestato riguarda  il fatto che la nuova legge vieterebbe l’utilizzo di animali per lo studio dei xenotrapianti e delle sostanze d’abuso. Gli xenotrapianti – trapianto di organi, tessuti o cellule tra organismi di due specie diverse – sono invece ormai fondamentali per terapie innovative e sperimentali volte alla cura di gravi patologie, per lo sviluppo di terapie antitumorali personalizzate e per la ricerca di tipi più avanzati e sicuri di valvole cardiache e il loro utilizzo ha già salvato milioni di vite umane. Secondo l’art. 9bis, l’Italia, unica nazione al mondo, non dovrebbe effettuare ricerche in questo campo.

Un alto punto critico è quello degli allevamenti, deciso sulla scia del caso Green Hill. L’aticolo 12 vieta in Italia l’allevamento per cani, gatti e primati non-umani destinati alla ricerca scientifica (punto h): «ciò comporterebbe, sul piano economico, un aumento dei costi d'acquisto e una dipendenza dall'estero e, sul piano scientifico, l’impossibilità di fare ricerca sullo sviluppo pre- e peri-natale.  Molte ricerche verrebbero trasferite all’estero, con evidente danno per la scienza e l’economia italiane», lamenta l’appello. La Direttiva europea invece invita gli stati membri a stabilire una serie di criteri per l’allevamento degli animali da esperimento, ma non lo vieta.

Ed ecco la stoccata finale alla politica: questo  articolo è stato confezionato e approvato nella totale assenza di consultazione della comunità scientifica e industriale. «Sarebbe come se il Parlamento, nel giro di una settimana e nel chiuso di una Commissione, prendesse decisioni gravemente limitative la produttività e competitività delle imprese metalmeccaniche senza interpellare né i metalmeccanici né le imprese, anzi, utilizzando una procedura d’urgenza che non dà tempo per un intervento», dicono i lavoratori della ricerca. La richiesta? «Che l’art. 12 (ex 9bis) venga riscritto e riportato nel solco della Direttiva comunitaria».

 


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