Cultura
L’istruzione degli adulti, la scuola di cui nessuno parla
Ai corsi serali il problema della ripartenza non sono gli spazi ma il tenere agganciati, con la motivazione e le relazioni, studenti giovani, con percorsi complicati alle spalle. «Per questo vogliamo sfruttare al massimo la presenza, che ha in sé un valore forte, cruciale soprattutto per questi ragazzi», dice Giulia Tosoni, responsabile del CIA del Comune di Milano. «Già “prima” molte cose mostravano sofferenza: lo sforzo è quello di ripensare da capo tutto, cercando cose che funzionino meglio. Vissuta così, è un’esperienza di comunità scolastica molto interessante».
E l’istruzione degli adulti? È un pezzo di scuola che pochi raccontano. Giulia Tosoni è la responsabile del Civico Centro di Istruzione per l'Adulto e l'Adolescente (CIA) “A. Manzoni” del Comune di Milano. È la scuola “erede” delle scuole serali comunali, con un focus sull’istruzione per gli adulti, con la classica modalità del “due anni in uno”, a cui dal 2013 al mattino si è aggiunto un progetto per ragazzi di 16-18 anni in dispersione scolastica, con l’obiettivo di rafforzarli nelle competenze, nell’autoefficacia, nella fiducia in se stessi per reinserirli il prima possibile nella scuola. Con circa 90 studenti al mattino e 400 alla sera, al CIA Manzoni il problema non è quello degli spazi: le classi del diurno sono volutamente piccole, mentre al serale l’intero edificio potrebbe, volendo, essere a disposizione dei 400 iscritti. «Il tema forte qui è tenere agganciati, con la motivazione e le relazioni, studenti giovani, con percorsi complicati alle spalle», dice Giulia Tosoni. Anche al serale infatti lo studente tipo non è più il lavoratore che vuole riprendere gli studi per migliorare la propria posizione lavorativa: «In soli cinque anni l’età media si è molto abbassata, scendendo a 21 anni. Anche tra gli studenti del serale il 60% è disoccupato o inoccupato, sono stati spesso a casa diversi anni come Neet e provano a rimettersi in gioco. Un terzo sono nati all’estero. Anche senza Covid, è una grande sfida quella di riadattare il modello a un’utenza giovane e con varie fragilità».
Anche al serale lo studente tipo non è più il lavoratore che vuole riprendere gli studi per migliorare la propria posizione lavorativa. In soli cinque anni l’età media si è molto abbassata, scendendo a 21 anni. Il 60% è disoccupato o inoccupato, sono stati spesso a casa diversi anni come Neet e provano a rimettersi in gioco. Un terzo sono nati all’estero. Anche senza Covid, è una grande sfida quella di riadattare il modello
Per raccontare come hanno immaginato il rientro, Giulia Tosoni racconta come il CIA ha vissuto il lockdown. «Per il serale, in alcuni casi, la scuola ha distanza ha persino aiutato le persone: si tratta di ragazzi con vite complicate, l’esistenza di problemi di organizzazione familiare e di conciliazione con il lavoro ha fatto sì che per molti fosse più facile collegarsi al computer che venire a scuola e frequentare. Lavoravamo già con Moodle, una quota di docenti era già formata e avevamo già sperimentato un corso in modalità blended. Siamo ripartiti da lì, estendendo a tutti l’uso della piattaforma e di una didattica asincrona per garantire la continuità. Più difficile è stato avviare le lezioni online in modalità sincrona, c’è voluta qualche settimana per andare a regime». Non è tutto stato rose e fiori, «sono emersi tanti problemi con ditigal divide, la maggior parte degli studenti ha seguito tutto dal cellulare, ci sono stati problemi di connessione come di abitazioni sovraffollate o di conciliazione con i bimbi piccoli… fatto sta che siamo riusciti a portare all’esame di idoneità – che si terranno tra fine agosto e inizio settembre – tutti quelli che a febbraio erano ancora frequentanti e agganciati al percorso, un bel successo. Un gruppetto del diurno ha fatto gli esami a giugno, sono andati abbastanza bene, il problema è che stanno faticando a trovare posto nella scuola statale, in alcuni casi gli è stato detto che non c’è posto».
Il 10 marzo, a pochi giorni dal lockdown, ha debuttato su Shareradio la radio del CIA (in copertina, Giulia Tosoni ai microfoni). Tutte le sere, dalle 17 alle 18, gli insegnanti hanno fatto lezione alla radio: «Tre pillole diverse per ogni ora, con una quindicina di insegnanti coinvolti», racconta Tosoni. «Ha creato comunità, abbiamo iniziato a ricevere messaggi dagli studenti, ci facevano proposte, i docenti si sono sperimentati in una modalità diversa di fare lezione, che rompeva molto gli schemi del “prima”. Ha funzionato, sono venute fuori cose piacevoli da ascoltare ma anche molto belle come contenuto, abbiamo fatto interviste e scoperto che a distanza è più facile portare nella scuola voci esterne, una varietà di voci che in aula non sempre si riesce a portare». A regime la radio si è integrata con la piattaforma e le videolezioni.
Un gruppetto del diurno ha fatto gli esami a giugno, sono andati abbastanza bene, il problema è che stanno faticando a trovare posto nella scuola statale, in alcuni casi gli è stato detto che non c’è posto
Da questa esperienza, cosa si è pensato di trarre per il nuovo anno? «Di temi organizzativi ce ne sono a non finire», risponde Tosoni. «Intanto ci aspettiamo di avere meno alunni, in particolare al diurno, visto che quest’anno non ci sono stati bocciati: questo per noi apre prospettive interessanti per lavorare con scuole a invii di ragazzi prima del fallimento, per il rafforzamento e il reinserimento a scuola. Al serale abbiamo introdotto il patto di corresponsabilità per concordare con ciascuno studente una modalità di stare nel percorso (da frequentante o da non frequentante) definendo per ciascuna modalità impegni minimi e obiettivi. In questo modo speriamo di tenere più agganciati gli studenti che non riescono a frequentare e – forti dell'esperienza nel lockdown – offrire percorsi a distanza qualitativamente adeguati. Stiamo rivedendo l’alternanza scuola lavoro, avendo un corso sul sociosanitario molti stage erano in asili nido e rsa, abbiamo avviato già l’anno scorso percorsi di impresa simulata che sono stati positivi, stiamo potenziando questa cosa. Faremo un po’ di didattica all’aperto, sotto i gazebo. Sicuramente vogliamo sfruttare al massimo la presenza, perché c’è un valore forte nella presenza, legato alla motivazione e alle relazioni, cruciale soprattutto per questi ragazzi». Per il diurno quindi sono state previste lezioni al 100% in presenza, «perché è fortissimo il rischio dispersione e perché lo sforzo per uscire da casa è stato grande». La dad ci sarà solo come soluzione materasso per eventuali temporanee sospensioni. «Per il serale invece abbiamo stabilito che ogni gruppo di apprendimento verrà a scuola 4 giorni e il quinto lo farà in dad. Ma sul serale ha anche senso questa modalità, se complementare, perché in alcuni casi intercetta dei bisogni e agevola le persone e comunque stiamo parlando di adulti. Già “prima” molte cose mostravano sofferenza: lo sforzo che stiamo facendo – che è la parte bella di questi mesi difficili – è poter ripensare da capo tutto, cercando cose che funzionino meglio. Vissuta così, è un’esperienza di comunità scolastica molto interessante».
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