Non profit

L’istinto materno? È una cosa da uomini

Nicoletta Buratti - L'Albero della Vita

di Marina Moioli

Nicoletta Buratti, 41 anni, è una casalinga milanese niente affatto disperata. Di “lavoro”, dopo gli studi di Giurisprudenza a Parma, si è dedicata ai suoi due figli, che oggi hanno 12 e 14 anni. Ma tanta era la nostalgia per quando erano piccoli, che da qualche anno si è messa a disposizione della comunità d’accoglienza Zerosei, allestita otto anni fa dalla cooperativa L’Albero della Vita in una palazzina nella periferia nord-ovest di Milano. Ad essere ospitati, bambini con situazioni di abbandono, incuria, abusi fisici e grave degrado del nucleo familiare alle spalle. Zerosei è una casa dove si sentono sicuri e protetti come in una vera famiglia. Nicoletta racconta loro le fiabe, li fa giocare, li coccola, li accompagna al parco.
Com’è arrivata a L’Albero della Vita?
Due anni fa un’amica che faceva l’animatrice mi ha portato in questa comunità. Io ero alla ricerca di qualcosa per impegnarmi, già prima di sposarmi avevo fatto un’esperienza analoga in una casa famiglia per adolescenti: aiutavo i ragazzi con i compiti, ed era stata una bellissima esperienza. Così, quando i miei figli sono cresciuti, ho deciso di ripeterla.
Ricorda la sua “prima volta”?
È stato un giorno… commovente. Mi ricordo in particolare di una bambina, Giovanna, che mi ha sorriso e mi ha dato immediatamente la manina, piena di fiducia. Con lei ho sempre avuto un legame particolare, fino a quando è stata data in adozione. Di casi come il suo ce ne sono stati tanti: per fortuna a Zerosei siamo “collezionisti di belle storie”. Questi bambini hanno così tanta voglia di una mamma e di un papà che li “riconoscono” subito al primo incontro. E anche se noi volontari non conosciamo la provenienza e le vicende di questi bimbi, siamo contenti quando uno di loro viene dato in affido o in adozione: significa che ha trovato finalmente l’amore di una vera famiglia. Ancor più felici se rientra nella sua famiglia d’origine.
Quanto tempo dedica al volontariato?
Sono presente una volta la settimana,
il mercoledì mattina dalle 9,30 fino al momento in cui vanno a mangiare. Faccio giocare i bambini e quando il tempo è bello con le educatrici li portiamo fuori, per fare un giro al parco. L’altro aspetto del mio impegno è stato diventare “portavoce dei diritti dei bambini”. Ho dato una mano per raccogliere fondi e far passare il messaggio che occorre prendersi più cura dell’infanzia e dei diritti dei più piccoli. L’anno scorso ho organizzato una festa estiva di beneficenza e un torneo di burraco, sono stati due eventi riuscitissimi; ho coinvolto mia mamma, mia suocera, un giro di amiche e alla fine c’erano un centinaio di persone.
Che qualità bisogna avere per prendersi questo impegno?
Amare i bambini, e avere pazienza. E poi occorrono la sensibilità e la capacità di saperli capire per dare loro un po’ di serenità e allegria. Ma non è necessario avere “l’istinto materno”; c’è anche un modo maschile, altrettanto importante, di far divertire i bambini: peccato però che su 25 volontari i maschi siano solo 4! Poi è indispensabile avere sensibilità di ascolto verso gli educatori, per entrare in sintonia con lo stile educativo della comunità. Ci vuole una linea educativa comune, altrimenti si rischia di fare dei danni.
I principali ostacoli che ha dovuto superare?
All’inizio, imparare quello che potevo o non potevo fare quando i bambini litigavano tra loro o quando qualcuno piangeva.
Consiglierebbe a un’amica di diventare volontaria?
Mi sembra un dovere! L’autogratificazione nel volontariato è abbastanza comune, ma per me è anche un arricchimento: ho imparato molto dalle educatrici. I miei figli li ho sempre un po’ viziati. Qui ho imparato le regole per far crescere meglio i bambini, per renderli più autonomi.
C’è un consiglio che darebbe al responsabile della casa d’accoglienza?
Consigli? No… Piuttosto, gli educatori portano i bambini a spasso, ma a volte capita, quando qualcuno di loro è malato, che devono stare a casa per accudirli e quindi le uscite diminuiscono. Questo accade soprattutto quando la casa è piena: attualmente i bambini ospitati sono 9, la struttura è al completo e gli educatori, davvero, danno il massimo. Io invece vorrei portarli fuori il più possibile, anche solo per andare a fare la spesa, come farebbe una mamma con il suo bambino. Cercherei insomma di fare tutte quelle semplici cose che fanno parte della più normale quotidianità. Se potessi mi porterei qualcuno di questi bimbi a casa in campagna per un weekend… Poi ci sono le vacanze: l’anno scorso una volontaria ha offerto la sua casa al lago per una settimana. Quest’anno i responsabili stanno lavorando per riuscire a organizzare due settimane al mare. Piccole conquiste, che però per questi bambini così sfortunati sono essenziali.

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