Salute
Liste d’attesa, è allarme. 18 milioni di prestazioni sanitarie rinviate
Coinvolti non solo pazienti cronici ma anche le nuove diagnosi. Il Tribunale dei diritti del malato sottolinea «il protrarsi del blocco delle visite ci preoccupa molto»
di Luca Cereda
Da un’emergenza all’altra: « È allarme per le cure e le visite sanitarie rinviate dall’inizio della pandemia», dichiara la dottoressa Paola Pellicciari del Tribunale dei diritti del malato promosso dalla onlus Cittadinanzaattiva. Sono quasi 18 milioni, a livello nazionale, le prestazioni “saltate” da fine febbraio a oggi.
I numeri sono preoccupanti perché coinvolgono non solo pazienti cronici ma bloccano anche le nuove diagnosi: sono 13 milioni le visite specialistiche sospese a causa del Covid-19, 300mila i ricoveri non effettuati, 500mila gli interventi chirurgici rimandati e ben 4 milioni gli screening oncologici posticipati a data da destinarsi. La dottoressa Pellicciari avverte: «Oggi le attese si misurano in semestri, se non in anni in alcune regioni. Rischiamo di peggiorare la prognosi di tutti i cittadini costretti a questa ulteriore attesa e per questo abbiamo bisogno di interventi urgenti da parte del Governo».
Per riavviare la “macchina” delle visite e degli interventi mancano le linee guida
Il protrarsi di questo blocco preoccupa il Tribunale dei diritti del malato: «Ad oggi sono prenotatili solo visite con priorità U – urgenti. E anche per queste, vista la congestione nelle strutture sanitarie, i tempi sono dilatati». L’Italia si trova ancora in una fase delicata della pandemia. Oltre al prolungamento delle misure straordinarie anti-Covid fino al 31 gennaio 2021, del virus Sars-Cov-2 sono più le cose che non sappiamo di quelle che conosciamo, «quindi la sicurezza e la tutela dal contagio sono a ragion veduta al primo posto», chiosa Pellicciari.
Questo non giustifica il fatto che manchino ancora le linee guida per poter riprogrammare le visite saltate nel periodo marzo-settembre. «Un primo passo è stato fatto, ad esempio, da regione Lombardia con la delibera n. 113520 del 5 agosto: quest’ultima impone come obiettivo per la valutazione dei Direttori generali dell’Asst, ovvero gli ospedali, che le Ats, le Agenzie di Tutela della Salute del territorio, il recupero delle prestazioni specialistiche ambulatoriali che sono state ridotte o rinviate a causa dell’emergenza Covid». Non solo, la Lombardia, per recuperare il terreno perso, ha obbligato le Ats a eseguire nel secondo semestre del 2020 un numero di prestazioni pari ad almeno il 95% di quelle dello stesso periodo dello scorso anno, quando non c’era la pandemia in atto.
La pandemia segna il tramonto della sanità pubblica?
Il ritardo delle prestazioni sanitarie resta un dato di fatto. Ma c’è di più. Il Consiglio dei ministri invitava le Regioni a predisporre un piano organizzativo per il recupero delle visite e delle prestazioni sanitarie. E lo faceva con una delibera già il 7 maggi. Ad oggi il piano non c’è ancora. «In questa situazione i cittadini conoscono poco i loro diritti». Uno dei motivi principali è il federalismo sanitario che rende difforme la legislazione a seconda della regione in cui si vive.
Non va fatto passare sotto silenzio un altro aspetto secondo la dottoressa Paola Pellicciari: «Con una visita a priorità 10 giorni, quindi molto urgente, il cittadino si sente sempre più spesso dire che le agende sono piene e che deve aspettare – se va bene – il doppio del tempo rispetto a quello indicato dalla sua priorità». Molto spesso con una priorità a 10 giorni si aspetta anche un paio di mesi. Alla domanda “Cosa posso fare?”, gli sportelli degli stessi nosocomi rispondono: “vada privatamente, li le fissano l’appuntamento in 2 giorni”, spiegano dalla onlus Cittadinanzattiva.
«Non intendiamo demonizzare la sanità privata, ma o loro non devono rispettare le norme anti-contagio per il Covid, oppure c’è più di qualcosa che non funziona nella sanità pubblica».
Liste d’attesa: la falla sempre più grande da tappare
Il Governo intanto ha incrementato di 478 milioni di euro il finanziamento al Servizio sanitario nazionale per ridurre le liste d’attesa, di cui ben 80 milioni per la sola Regione Lombardia.
Tre sono le priorità per rientrare: innanzitutto le assunzioni. «Dal 2010 al 2018 si calcolano siano stati tagliati 40mila posti di lavoro nel Servizio sanitario nazionale. Bisogna rapidamente stabilizzare tutti i contratti precari che si sono attivati per far fronte all’epidemia», ricorda la dottoressa Paola Pellicciari. Seconda priorità: incrementare i fondi destinati alla produttività aggiuntiva. «Già 500 milioni sono previsti nel Decreto agosto, ma non sono sufficienti in base ai numeri che ho ricordato e pertanto bisogna verosimilmente raddoppiarli se non triplicarli». Infine, è necessario incrementare l’investimento sugli ospedali, perché «bisogna ricordarsi che l’attività ordinaria è stata sospesa per la vetustà dei nostri ospedali e per la mancata previsione di una separazione tra malati infetti e non», spiega ancora Pellicciari.
I cittadini cosa possono fare?
Se non si corre ai ripari, «verrà sempre meno il diritto costituzionale alla salute degli italiani, che – conclude la dottoressa Paola Pellicciari del Tribunale dei diritti del malato promosso dalla onlus Cittadinanzaattiva – in pochi sanno è che ogni ospedale ha un responsabile unico per i tempi d’attesa. Ovvero la figura incaricata di fare questo: quando la struttura non riuscisse a restare nei tempi richiesti dall’urgenza della visita o dell’intervento, deve lei stessa indicare al cittadino altre strutture pubbliche in grado di offrire la prestazione entro i tempi indicati». Informazione e salute, un binomio che non può più attendere.
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