Cultura
L’islam moderato, il miglior antidoto ai kamikaze
Anteprima di Vita magazine in edicola. padre Giulio Albanese ci introduce ai pensatori dell'Islam moderato
Sono pensatori che hanno un grande seguito. Alcuni hanno pagato sulla propria pelle la loro moderazione. Anche per questo leggerli e conoscerli è il modo migliore per mettere in fuga i fantasmi del fondamentalismo. C’è gente come Khalil Abd al-Karim, egiziano con 50 anni di storia culturale e politica alle spalle. O Mahmoud Mohammed Taha, iraniano, giustiziato dallo Scià negli anni 70. Lui che propugnava la riconciliazione dell’Islam con la libertà religiosa.
Fa piacere sapere che il nostro ministro degli Interni, Pisanu ha pubblicamente affermato che «l’Europa deve saper tendere la mano all’Islam moderato evitando ad ogni costo di rinchiudersi in se stessa». Anche perché di questi tempi, tra attentati e piani antiterrorismo, il tema della pace è sempre più controverso. L’areopago della politica sembra essere un’arena in cui si dice tutto e il contrario di tutto. La stessa società civile appare frammentata in un arcipelago litigioso nel quale si contrappongono, con toni più o meno esacerbati, visioni ed interpretazioni diverse nei rapporti tra Occidente e mondo islamico.
Se da una parte non si vede come si possano sottoporre ad analisi razionale gli argomenti di chi si dice campione di una guerra infinita del ?bene? contro il ?male?, bisogna riconoscere che approssimazione e superficialità contraddistinguono frequentemente l’analisi di non pochi opinionisti sulla scena internazionale.
Si parla ad esempio di ?Islam moderato? e di ?Islam radicale?, quasi a definire due blocchi omogenei in contrapposizione sul piano teologico e religioso. In effetti, all’interno dell’umma (la comunità musulmana) vi sono tante anime influenzate dalla storia, da appartenenze sociali e nazionali, dall’?incontro-scontro? con modelli etici e politici occidentali. Come rileva pertinentemente Paolo Naso, autore di numerosi saggi sul tema del ruolo politico delle religioni, oggi la convivenza non può essere quella del pluralismo di identità chiuse e armate; deve essere quella del dono reciproco di valori e tradizioni, magari per scoprire che tra le tante diversità che li distinguono, gli uomini hanno qualcosa che li accomuna, anche se poi non lo sanno.
Arginare il salafismo
È vero che il terrorismo di matrice islamica rappresenta un’esigua minoranza, ma è altrettanto vero che le suggestioni fondamentaliste, intolleranti e politicamente aggressive del salafismo sono contrastate da molti intellettuali del modernismo islamico contemporaneo che vedono la necessità di una lettura critica della storia islamica in netto contrasto con i fautori dello ?jhad?, cioè la guerra santa.
Emblematico è il pensiero di Sayyed al-Qimani, uno scrittore egiziano contemporaneo, che difende a denti stretti il razionalismo, affermando che esso è patrimonio della tradizione islamica – riferendosi ad esempio al pensiero del filosofo Averroè – sebbene sia decaduto per colpa dei tradizionalisti che hanno in testa solo e unicamente il chiodo fisso della shari’a, la legge islamica.
Il Corano secondo Taha
Un altro intellettuale che invoca il rinnovamento è l’egiziano Khalil Abd al-Karim che presenta la propria lettura storica come alternativa alla visione fondamentalista degli estremisti. Per non parlare di personaggi del calibro di Mahmoud Mohammed Taha, giustiziato dal presidente sudanese Gaafar Nimeiri il 18 gennaio 1985. Il suo era un nuovo modo di rileggere il Corano che portava alla netta separazione tra la dimensione religiosa della rivelazione coranica, universalmente valida e immutabile, e quella politica, legata alle situazioni storiche e dunque mutevole. Taha proponeva pertanto la riconciliazione dell’Islam con la libertà di religione, con i diritti umani e l’uguaglianza dei sessi. Per questa sua visione di grande apertura e dialogo fu impiccato a Khartoum come apostata.
Ma non è tutto qui. Circa una cinquantina di anni fa, il padre del riformismo islamico iraniano, Ali Shariati, diceva che l’Islam contemporaneo è nel suo XIII/XIV secolo; e se guardiamo alla storia europea di quel tempo, cioè del XIII/ XIV secolo europeo, scopriremo che per il Vecchio Continente non era ancora iniziata la riforma protestante. Secondo Shariati, per superare il Medio Evo islamico i musulmani non possono pensare di saltare a piè pari cinque-sei secoli, arrivando di getto a Rousseau, Locke, Weber o Marx. «Dobbiamo riformare l’Islam», scriveva, «rendendolo il volano di liberazione delle nostre società ancora ferme a una dimensione sociale tribale, cioè al Medio Evo dell’Oriente, mentre oggi è lo strumento usato dai reazionari per evitare il progresso e lo sviluppo sociale».
Le parole di Shariati, giustiziato nella seconda metà degli anni 70 dalla polizia segreta dell’allora Scià di Persia, indicano chiaramente il percorso che occorre seguire per sconfiggere i sostenitori della Jihad. Sta di fatto, commenta padre Giuseppe Scattolin, professore di mistica islamica, che i Paesi occidentali fanno o poco o niente per far conoscere al mondo queste voci che ogni intellettuale onesto, ogni politico che si rispetti e ogni giornalista competente dovrebbero diffondere per il bene e il progresso dell’umanità. Sempre secondo padre Scattolin – autore tra l’altro di quattro preziosi volumi sull’Islam pubblicati dall’Emi di Bologna – è l’Islam modernista, nelle sue molteplici articolazioni, che rappresenta una reale fonte di speranza, ma esso non dispone affatto dei mezzi finanziari e tecnologici per crescere e raggiungere le masse impoverite di certi Paesi del Sud del mondo, come anche le società industrializzate del Nord.
I crociati fuori strada
Ecco perché non saranno i crociati del terzo millennio a fermare certi pazzi visionari del calibro di Osama bin Laden, quanto piuttosto i pulpiti della politica e della comunicazione globale che dovrebbero consentire alla società civile islamica d’essere il volano di un progresso per il bene di tutti. Purtroppo, la disinformazione, l’ignoranza e il pregiudizio sono diffusi a macchia d’olio. Proviamo a sfogliare i giornali e scopriremo che in Italia, e nei Paesi Occidentali, si parla di Islam solo in riferimento ad attentati, cellule eversive, violenze e quant’altro. I luoghi comuni prevalgono dimenticando che il mondo musulmano è una realtà religiosa, di grande spessore spirituale, professata da oltre un miliardo di persone.
Un’antica storia sufi narra di quattro viandanti nel deserto che, incontratisi per caso, litigarono perché uno voleva l’uzum, un altro lo staffili, un terzo pretendeva l’inab e il quarto chiedeva l’angur. La discussione degenerò al punto tale che dovette intervenire un sufi il quale, conoscendo le lingue, disse che tutti bramavano la stessa cosa, cioè «l’uva rossa come petali di una fragrante rosa». Solo allora nel deserto regnò una mistica pace.
Nel numero in edicola:
Vi faccio paura?
La questione seconda generazione. Perché i figli degli immigrati musulmani hanno tanta difficoltà nell’integrazione? Come si dialoga con loro? Un dossier di 6 pagine per dare la parola agli esperti e a chi lavora sul campo. E ancora:
Ambrosini: ?Più moschee contro lo scontro di civiltà?
Al Qaeda in Africa, parla il vice di Annan
Giulio Albanese : ?leggiamo i grandi dell’Islam moderato?
Livia Turco: ?Sì alla consulta bipartisan?
Nessuno ti regala niente, noi sì
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