Cultura

L’irresistibile voglia di cantare

Ovvero: ogni motivo è buono per accordare tante voci in un coro

di Sara De Carli

Jim Carrey-faccia di gomma, al confronto, è un dilettante. La mandibola di Fausto Caravati precipita verso terra con un?elasticità imbarazzante, mentre una quarantina di ragazzi, in piedi davanti a lui, tenta di imitarlo. L?obiettivo è quello di pronunciare un ?ma? scioltissimo. Ma-ma-ma-ma-ma-ma-ma-ma-ma. Per scaldare la voce si fa la scala do-sol e discesa. Ma, mu, mo, mi. ?Me? crea qualche problema, «è troppo effetto gne-gne». Pesta giù duro, il Maestro. «Se non cantate, non potete farla giusta». E dire che solo cinque minuti fa, seduto sugli scalini fuori dalla sede, con i suoi coristi diceva che la cosa essenziale, per il coro, è la birra insieme dopo le prove. Uno, due, tre, quattro: quattro secondi per passare dal cicaleccio generale, quasi urlato, a un attacco pulitissimo. Fausto Caravati ha 35 anni e da quindici dirige il Greensleeves Gospel Choir di Varese, il primo coro gospel nato in Italia. Oggi ce ne sono 409, stando a quelli iscritti a gospelweb.it. Ma chiarisce Sante Fornasier – manager finanziario, direttore autodidatta del coro di Rauscedo, paese di 1.500 abitanti in provincia di Pordenone – da sette anni presidente della Feniarco – Federazione nazionale delle associazioni regionali corali: «Abbiamo 2.200 cori amatoriali e 70mila coristi registrati. In realtà in Italia sono molti di più. Verosimilmente 7mila cori e 210-250mila coristi». Lassù sulle montagne Tanti. Più al Nord che al Sud, spiega, «perché la tradizione del Sud è quella del canto solistico, se lo immagina ?O sole mio cantato da un coro? Il Nord invece ha gli alpini, le montagne, le mondine». Sui 2.200 cori iscritti alla Feniarco, 900 hanno sede nel Triveneto. Però la Sicilia è piena di cori di voci bianche. E la città con il più alto rapporto fra abitanti e coristi è Varese, dove una persona su venti canta in un coro. Il gruppo più numeroso è quello dei cori polifonici, i più rari sono quelli operistici: un dispetto al nostro essere il paese bel canto e alla mostra su Farinelli e i castrati che fa furore a Londra. La stragrande maggioranza si dedica a un repertorio di musica sacra, anche se la canta ai concerti e non alle liturgie. I Pueri Cantores però tengono, con 60 cori iscritti alla federazione nazionale, più tutti i cori parrocchiali che han rimpiazzato Bach con le chitarre. Ma troviamo anche 297 cori di musica popolare e 116 cori Ana, quelli degli alpini. Entrambi riscuotono tra i giovani un successo imprevedibile e fino a pochi anni fa insperato. «A patto di rinunciare al costume tipico», sottolinea Mario Tenaglia, direttore del coro La figlia di Jorio, di Osogna, in Abruzzo, che però non lo ha ancora fatto. «E di ripulire i canti di guerra e degli alpini da quella retorica dell?eroismo con cui li si è cantati fino ad oggi», gli fa eco Massimo Marchesotti, un pittore che non ha fatto l?alpino, ma che da 35 anni dirige il coro Ana di Milano. «Sono canti di morte e di dolore, raccontano la vita». Il faro, per tutti loro, è il coro della Sat-Società Alpinisti Tridentini, che compie 80 anni. Trentatrè trentini, la cui direzione è da sempre nelle mani di un?unica famiglia: i Pedrotti. La loro agenda è già piena, per tutto il 2007. Chi vuole invitarli, si mette in lista d?attesa e aspetta cinque o sei anni. «Siamo un coro di appassionati, più di venti concerti all?anno non possiamo fare. Abbiamo rinunciato anche a offerte importanti, come una tournée in Giappone. Ma questo limite è anche il nostro pregio. Cantiamo per piacere, perché la musica ci dà gioia», spiega Claudio Pedrotti, il maestro in carica. «E la gente se ne accorge. Anche in Finlandia la gente si commuove, senza capire una parola di quello che cantiamo». È l?obiettivo del fare coro oggi: tenere insieme i nodi col territorio e con il passato, mischiare cultura e divertimento, spirito di gruppo e competizione. Il coro consultorio Far parte di un coro significa uscire di casa sessanta sere all?anno per le prove. Più i concerti, in genere nei weekend. La costanza nella partecipazione alle prove è l?unica pretesa che i direttori hanno verso chi vuole entrare nel coro. Altri sbarramenti non ce ne sono: non importa se sai leggere la musica o se ripeti a memoria una melodia, se hai una voce bellissima o se per fare una voce decente devi metterti insieme ad altri due. Francesco Mocchi, giovanissimo direttore della Corale universitaria Lorenzo Valla di Pavia, lo spiega senza giri di parole: «Ci sono quelli più bravi che dicono ?io lo so già fare? e non vengono alle prove. Questo genera contrasti nel gruppo, non va bene. Io sono intransigente: se sei bravissimo ma non vieni alle prove, diventi un disturbo. E allora puoi startene a casa, oppure andare in un coro di professionisti». Pilar Bravo Martinez, del Coro Città di Milano, obbliga i suoi coristi a due prove la settimana: «Una insieme, e una a gruppetti di otto. Altrimenti ci si nasconde dietro la voce degli altri. È vero che il coro è un gruppo, però è fondamentale stimolare la responsabilità di ognuno». Disciplina, sacrificio, costanza. Attenzione. Ascolto. Esserci. Ma il coro, come insegna il sorvegliante Mathieu in Les Choristes, è educativo da sé, senza quella patina di sforzo, tedio, didascalica pedanteria. Ambizione e competizione, ma solo con se stessi. Amalgamarsi con gli altri non è poi così difficile. Tutt?al più la sfida è con Haendel, Mozart e Vivaldi. Perché, come dice Alberto, «quando tu canti i brani che hai sempre sentito sui cd, è un?emozione incredibile. La sera in cui ho cantato al Conservatorio di Milano l?ho segnata come tacca sul palmares». Ma ciò che conta, più di tutto, è che il coro è uno spazio di aggregazione. Canta che ti passa è vero. Lo dicono i livelli di immunoglobulina nel sangue, secondo i recentissimi studi dell?università di Francoforte, e lo dicono le esperienze dei coristi, che parlano delle «vibrazioni che si trasmettono e creano un legame fra le persone. O forse è perché quando canti ti metti a nudo – e infatti molta gente si vergogna a farlo – e quando ti metti a nudo si crea sempre un legame più forte». Che cos?è un coro? Un antidepressivo. Un consultorio. Una seduta psicanalitica. Una malattia. Un?agenzia matrimoniale. Un?emozione. Una seconda famiglia.


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