Mondo

L’Iraq oltre le polemiche italiane

Nino Sergi, Segretario Generale di Intersos, ci scrive dall'Iraq dove l'organizzazione umanitaria è impegnata in sei progetti nelle aree di Baghdad, Bassora, Ar-Ramadi e Al Amarah

di Nino Sergi

BASSORA (Iraq) – Qui a Bassora veniamo in un internet café per inviare e ricevere le e-mail. Ho visto in TV che c?è neve e fa freddo. Le altre (non)notizie dei TG italiani di questi giorni, viste da qui, fanno un po’ pietà. A Bassora sono rimaste non più di sei o sette Ong, tra cui le italiane UN PONTE PER.., CESVI e noi di INTERSOS (da una settantina di Ong presenti fino a tre mesi fa). Le Agenzie delle Nazioni Unite sono alla paranoia. Anche ECHO le sta seguendo su questa strada: ed è una novità per l?Ufficio umanitario della Commissione Europea che finora è sempre stato in prima linea. Noi abbiamo insistito e insistiamo molto sulla necessità di un ruolo forte delle Nazioni Unite in Iraq, ed è giusto farlo perché occorre ristabilire quel riconoscimento che è stato brutalmente negato loro. Ma, al contempo, ci si rende conto che l?ONU così come è combinata, con la priorità assoluta data al benessere e alla super-sicurezza del proprio personale, non può assumere alcun tipo di responsabilità in questa difficilissima fase in Iraq. È comprensibile dopo quanto è successo, ma la situazione richiede ben altro. Persino il personale iracheno impiegato nelle Agenzie delle Nazioni Unite qui in Iraq, cioè nel proprio paese, non può muoversi dalla propria abitazione se non dopo averne chiesto l’autorizzazione e averne ottenuto l’assenso: da New York ovviamente, o da Amman, o da Larnaka, dove si sono ritirati i funzionari internazionali e da dove si ritiene di avere una chiara visione della realtà irachena. Realtà che invece va respirata, visitata, vissuta quotidianamente per poter essere capita. La fiducia nella potenza taumaturgica della guerra, senza un?adeguata conoscenza dell?Iraq e delle sue complessità, senza un minimo di prospettiva e di preparazione per il dopoguerra, ha prodotto come risultato un bel caos, da cui è difficile, molto difficile uscire. Nessuno sa cosa fare, nemmeno Paul Bremer quando afferma solennemente che le elezioni potranno esserci non prima di un anno o più, ma che a giugno ci sarà comunque il passaggio dei poteri agli iracheni. Ma a chi tra gli iracheni? La risposta non c?è: ma sarà imperativo trovarla in questi centoventi giorni!. Non importa quale sarà e se sarà politicamente sostenibile o meno: l?importante sarà scaricarsi di dosso il peso di una responsabilità che inizia ormai a gravare più del sopportabile, specie di fronte alle prossime elezioni presidenziali americane. Il Paese comunque va avanti: con tanta incertezza e caos politico, ma va avanti. La gente da un lato vuole progredire. In pochi mesi si sono sviluppate sia la rete che le conoscenze (straordinaria questa rapidità nel conoscere l’uso ma anche la tecnologia) per internet e telefonie varie – sono ormai in funzione anche i cellulari su Baghdad e Bassora -; si sono sviluppati commerci di ogni tipo, ricostruzioni di infrastrutture, ecc. Si trova tutto, ormai, e a prezzi migliori dei nostri in Europa. Dall’altro lato, questa stessa gente non sa governare il tutto e quindi perfino le cose più semplici si bloccano. Ieri, per attraversare un ponte ad una sola corsia ci abbiamo messo più di un’ora per il solo fatto che nessuno voleva dare la precedenza; tutti sono rimasti fermi a discutere, ad agitarsi, a gridare senza che nessuno avesse la capacità di fermare una fila per lasciare passare momentaneamente l’altra e viceversa. Ed ogni giorno su quel ponte è così, per tutte le ore del giorno. E in tutto questo si aggiunge il pesante elemento politico-religioso. Pesante proprio perché è il peso politico dei vari gruppi e gruppuscoli religiosi che fa premio rispetto a quello religioso. Non pochi sono i riferimenti e tante sono le volontà di emergere. Sistani non é certo l?unico riferimento degli sciiti, né forse quello che ne determinerà in futuro le principali scelte. Sabato è stata reintrodotta la festività che ricorda l?uccisione a Karbala dell?Imam Husein, figlio di Ali e nipote di Maometto: festa che dà inizio al pellegrinaggio degli sciiti alla sua tomba. Qualche fanatico fondamentalista ha fatto sapere che se durante la festa fosse uscita una donna senza velo sarebbe stata colpita. Per fortuna la gente (tranne, appunto, i fanatici) se ne frega, anche se magari evita di girare in alcuni quartieri di Bassora. Che rimane comunque una città straordinariamente normale e vivibile rispetto a Baghdad. Un Paese da seguire attentamente l?Iraq di oggi, che in parte riprende alcuni aspetti delle crisi che abbiamo conosciuto in questi anni ed in parte rappresenta invece una novità: possiamo trovare ora un po’ di quanto vissuto in Somalia, o in Afghanistan, un po’ di Balcani, un po’ di Congo e così via. Ed il rischio, per la gente, è che il futuro tenda ad assomigliare sempre di più a ciò che ha tragicamente accomunato quelle crisi: la violenza e la possibilità di una guerra civile. Qualcuno pensa, non senza ragioni, che una guerra civile sia inevitabile. Se è davvero così, c?è da ritenere che gli americani non faranno gran che per impedirla: ma, ovviamente, al momento giusto, quando non saranno direttamente compromessi. Rimane, per noi Ong, il positivo della gente (di molti, certo, non di tutti, data la corsa all?accaparramento e l?esplosione di un egoismo sfrenato), il positivo dei risultati e della partecipazione che si hanno in non poche delle nostre attività, il positivo di quello che stiamo facendo, specie quando restituisce dignità e speranza, quando restituisce la vita, quando raggiunge i giovani e le nuove generazioni. Occorrerà formare e poi formare e poi ancora formare. Saddam ha proprio distrutto le menti e le coscienze di buona parte di questo popolo. I giovani ci sono e su di loro occorrerà puntare. Ma chi lo farà? Per ora la cosa pare non interessare molto.


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