Diritti Umani

L’Iran vota, ma per la Nobel per la Pace è una farsa

L'Iran va al voto domani per rinnovare il Parlamento e l'Assemblea degli Esperti che dovrà quasi certamente selezionare nei prossimi 8 anni la terza guida suprema del paese, dopo Khomeini e Khamenei. Il Consiglio dei Guardiani, 12 clerici con il potere di ammettere i candidati, ha tuttavia bandito tutti i non conservatori, compreso l'ex premier moderato Rouhani. Per questo l'astensione sarà record, facendo della rivoluzione una dittatura senza popolo, come denuncia dal carcere Narges Mohammadi

di Paolo Manzo

Protesta per le donne iraniane a Berlino (Credit Ilias Bartolini)

Teheran è tappezzata di manifesti di candidati conservatori, tra cui 1.713 donne perché domani si vota. Si eleggono 290 deputati del Parlamento e 88 membri dell’Assemblea degli Esperti, l’organo incaricato di scegliere la guida suprema. Come spiega oggi all’agenzia di notizie norvegese NTB Kjetil Selvik ricercatore della Nupi ed esperto di Iran, «l’elezione più importante è quella dell’Assemblea degli esperti, composta da clerici. Loro hanno il ruolo di selezionare la guida suprema del Paese. La costituzione iraniana conferisce al leader supremo del Paese poteri molto ampi in tutti i settori della società e controlla istituzioni chiave. Dal sistema giudiziario alla polizia, dall’esercito ai media ». La guida suprema dell’Iran Ali Khamenei, succeduto a Khomeini nel 1989, compie 85 anni ad aprile ed il destino del futuro dell’Iran passerà più dall’Assemblea degli Esperti eletta per otto anni che dal Parlamento.

Quelle di domani sono le prime elezioni nel paese dopo le proteste susseguenti alla morte di Mahsa Amini nel 2022 500 giovani furono uccisi dalle forze di sicurezza e 20mila arrestati. Che vincano i conservatori è certo visto che i 15.200 candidati ammessi al voto sono stati tutti selezionati dal Consiglio dei Guardiani. Un organo di clerici composto da 12 membri, la metà dei quali nominati dalla guida suprema. 

Anche per questo Narges Mohammadi, premio Nobel per la pace e attivista per i diritti umani dal carcere in cui è rinchiusa dal 2021 ha invitato la popolazione a boicottare il voto di domani, definendo sui suoi social l’astensione un «dovere» e descrivendo le elezioni di domani «un teatro».

«Io, insieme alla gente, mirerò a dichiarare la mancanza di legittimità della Repubblica islamica e la spaccatura del regime oppressivo con il popolo, punendo queste elezioni finte», ha scritto sui social Narges. «La Repubblica islamica, con la sua spietata e selvaggia oppressione, il massacro dei giovani nelle strade e sulla forca, l’incarcerazione e la tortura del popolo, merita sanzioni nazionali e la vergogna globale». Parole dure quelle del Nobel per la pace 2023, a cui le autorità iraniane oggi hanno impedito di partecipare al funerale di suo padre.

Il padre aveva 90 anni e nel tentativo di aumentare la pressione su Narges, la magistratura iraniana le aveva negato qualsiasi contatto anche telefonico con lui, gravemente malato, da tre mesi.

Nelle ultime ore un coraggioso gruppo di famigliari detenuti nel carcere di Evin, lo stesso di Narges, ha lanciato un sit-in di protesta contro la decisione della Repubblica islamica di non dare il permesso alla Nobel per la pace di piangere suo padre.

Il retweet degli attivisti rilanciato dalla Nobel per la Pace, Narges Mohammadi

Per non dire che a Narges il mese scorso è stata comminata un’ulteriore condanna a 15 mesi con l’accusa di aver diffuso propaganda contro la Repubblica islamica mentre era in carcere.

Tra i non ammessi alle elezioni di domani c’è anche l’ex presidente moderato, Hassan Rouhani. Sotto la sua guida tra 2013 e 2021 era stato raggiunto l’accordo nucleare tra Teheran e le principali potenze mondiali. Imponeva restrizioni al programma nucleare iraniano in cambio della revoca delle sanzioni economiche ma oggi purtroppo è lettera morta.

Anche il Fronte riformista di Rouhani ha chiesto il boicottaggio delle urne. «Elezioni monopolistiche non possono avere un impatto sul destino del paese e dei suoi cittadini», ha dichiarato il portavoce del partito, Javad Emam.

Sono molti gli oppositori e i giovani in esilio protagonisti delle proteste del 2022 che si sono uniti al boicottaggio. «È una protesta silenziosa perché se lo pubblichi sui social network puoi essere fermata. Ma sarà notato alle urne. Possiamo votare ma abbiamo scelto di non partecipare a questa farsa», spiega a El Mundo una giovane dalla Turchia. Parte della sua famiglia vive ancora in Iran e non andrà alle urne domani anche se «non lo vedono come un boicottaggio ma credono che nulla possa cambiare. Ecco perché per loro non è importante andare stavolta».

Ieri, Khamenei ha esortato la popolazione ad andare a votare, descrivendolo come un dovere. Il voto non è però obbligatorio e l’ultimo sondaggio del governo, qualche mese fa, aveva mostrato che solo il 27% degli iraniani avrebbe partecipato. Poi il regime non ha più reso pubblici i sondaggi e oggi si prevede una partecipazione record negativa, intorno al 15%

Staremo a vedere. Assolutamente da leggere, invece, l’intervista pubblicata oggi da Le Monde nella sezione Le Livres a Narges Mohammadi in occasione dell’uscita del suo libro Tortura bianca in Francia.

Un’intervista possibile grazie a una rete clandestina che le ha fatto arrivare le domande in carcere. Nel testo la Nobel per la pace spiega che «la tortura bianca è la madre di tutte le esecuzioni in Iran. Nell’ambito delle mie attività nel campo dei diritti umani e contro la pena di morte, ho appreso che un certo numero di persone giustiziate, sottoposte alla tortura fisica, mentale e psicologica della reclusione in celle di isolamento, ha dato false confessioni poi usate per la loro condanna a morte».

Ma è un’intervista che dà anche speranza, come in quest’altra testimonianza. «Negli ultimi decenni, nessun movimento di protesta ha avuto un impatto così grande come “Donna, Vita, Libertà” sugli strati più bassi della società. A mio avviso, questo movimento ha provocato un’evoluzione intellettuale, culturale e sociale più ampia, duratura e radicale di qualsiasi cambiamento politico-giuridico nella struttura statale. Mai l’obiettivo della transizione dalla teocrazia autocratica alla democrazia, alla libertà e all’uguaglianza ha costituito una richiesta nazionale così popolare. Il movimento “Donna, Vita, Libertà” ha confermato il principio di questa transizione. Ha lanciato un appello inequivocabile al mondo intero. Anche se il governo ha svuotato le strade imponendo una repressione implacabile, la resistenza civile è ancora potente. E sono le donne a condurre le azioni più forti di disobbedienza civile». 

«Per raggiungere la libertà e l’uguaglianza – conclude Narges – ci aspettiamo che le istituzioni internazionali e gli iraniani nella diaspora combattano l’oppressione del regime e rafforzino i movimenti democratici e sociali. Questo obiettivo è raggiungibile solo unendosi. E optando per un approccio politico coerente per sostenere, con l’aiuto dei media internazionali, le organizzazioni civili indipendenti. Finché le donne saranno private dei loro diritti, la democrazia non avrà alcun significato».

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