Cultura

L’invito di Benedetto XVI: non profit fuori dai recinti

editoriale

di Riccardo Bonacina

L’Enciclica Caritas in veritate di Benedetto XVI, cui abbiamo dedicato il servizio di copertina lo scorso numero, è scomparsa nel giro di 48 ore dal dibattito pubblico e politico. Un’Enciclica, lo sappiamo, non ha i tempi dell’informazione in tempo reale, richiede più di un colpo d’occhio, chiede il coinvolgimento di un po’ di pensiero. Perciò, oltre che impegnarci nel tenere vivo il dibattito sulle nostre pagine, crediamo sia giusto invitare i nostri lettori ad una lettura personale del documento. Infatti, la Caritas in veritate non solo è indirizzata a tutti gli uomini di buona volontà (come ogni Enciclica), ma affronta temi “nostri”. Ed è, senza dubbio alcuno, uno dei pochi documenti che prende di petto non solo la crisi economica e finanziaria che stiamo attraversando, ma anche le sue cause, proponendo possibili vie d’uscita. In particolare, l’Enciclica di Benedetto XVI mi pare lanci una sfida enorme a chi ogni giorno è impegnato nel non profit e nelle varie forme dell’economia civile. La sfida ad uscire dai recinti, non per uno spirito di conquista, ma per cambiare, almeno un po’, il mondo. Almeno tre paragrafi dell’Enciclica contengono quest’esplicito invito. Li cito, per i più pigri.
Il paragrafo 38, laddove Benedetto XVI scrive: «Il mio predecessore Giovanni Paolo II aveva rilevato la necessità di un sistema a tre soggetti: il mercato, lo Stato e la società civile. Egli aveva individuato nella società civile l’ambito più proprio di un’economia della gratuità e della fraternità, ma non aveva inteso negarla agli altri due ambiti. Oggi possiamo dire che la vita economica deve essere compresa come una realtà a più dimensioni: in tutte, in diversa misura e con modalità specifiche, deve essere presente l’aspetto della reciprocità fraterna».
Il paragrafo 41: «La perdurante prevalenza del binomio mercato-Stato ci ha abituati a pensare esclusivamente all’imprenditore privato di tipo capitalistico da un lato e al dirigente statale dall’altro. In realtà, l’imprenditorialità è inscritta in ogni lavoro, visto come actus personae. Proprio per rispondere alle esigenze e alla dignità di chi lavora, e ai bisogni della società, esistono vari tipi di imprese, ben oltre la sola distinzione tra privato e pubblico. Questa concezione più ampia favorisce lo scambio e la formazione reciproca tra le diverse tipologie di imprenditorialità, con travaso di competenze dal mondo non profit a quello profit e viceversa».
Infine, il paragrafo 46: «Sembra che la distinzione finora invalsa tra imprese finalizzate al profitto (profit) e organizzazioni non finalizzate al profitto (non profit) non sia più in grado di dar conto completo della realtà, né di orientare efficacemente il futuro. In questi ultimi decenni è andata emergendo un’ampia area intermedia tra le due tipologie di imprese. Non si tratta solo di un terzo settore, ma di una nuova ampia realtà composita, che coinvolge il privato e il pubblico e che non esclude il profitto, ma lo considera strumento per realizzare finalità umane e sociali».
Sino a qui l’Enciclica, il resto di questo editoriale tocca al coraggio di ciascuno di noi. Il coraggio di uscire dai recinti e di provare a diventare adulti, più grandi. Noi lo racconteremo.

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