Si sa davvero troppo poco sugli investimenti delle imprese sociali italiane. Pochi dati su generiche “propensioni a investire”, senza riscontri sugli oggetti (materiali e immateriali) e sulle modalità di finanziamento. Questa sì che sarebbe una vera ricerca sull’innovazione. Per ora si riescono a identificare alcuni macro settori: gli asset comunitari, ad esempio, grazie ai quali cooperative e imprese sociali strutturano la dimensione materiale e spaziale del welfare, acquisendo centri di servizi, rigenerando spazi pubblici, costruendo capannoni e micro distretti per attività industriali finalizzate all’inserimento lavorativo. Altro fronte, gli investimenti in ICT. Per ora sono soprattutto programmi gestionali che hanno l’obiettivo di razionalizzare i processi produttivi, un pò come si fece con le certificazioni di qualità qualche anno addietro. Ma si prevedono interessanti evoluzioni soprattutto nel campo della georeferenziazione dei dati (e così, finalmente, si faranno degne “mappature del territorio”). Per quanto riguarda i finanziamenti c’è uguale dinamicità che sfida gli imprenditori sociali a combinare risorse economiche di diversa provenienza: l’autofinanziamento (dei singoli soci e delle reti cooperative), i sostegni pubblici all’impresa e/o ai settori economici e sociali (che calano ma ancora ci sono, soprattutto a livello regionale), la filantropia specializzata (fondazioni, bancarie soprattutto) e la finanza (anch’essa sempre più tarata sulle esigenze dell’imprenditoria sociale). E poi, da non sottovalutare per imprese realmente comunitarie, le risorse donative anche non economiche. Una svolta importante quindi. Piena di incognite e di opportunità che una ricerca rigorosa e soprattutto tempestiva dovrebbe saper interpretare.
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