Cultura

L’invasione delle rose del Kenya

Un caso di sfruttamento e di cattiva globalizzazione

di Redazione

A un bel mazzo di rose, meglio se rosse, non si resiste. Ma diventa sempre più difficile acquistare rose italiane, sopraffatte dalla concorrenza agguerrita di quelle del Kenya, dell’Ecuador, della Colombia o di Israle. Da questi 4 Paesi, infatti, proviene circa il 70% dell’importazione dei fiori recisi nell’intera Europa. E anche in Italia, paese dei fiori per eccellenza, secondo esportatore europeo dopo l’Olanda, le cose non vanno meglio e a rischiare il posto di lavoro per la crisi che sta investendo il settore del florovivaismo, sono ben 20.000 lavoratori.

“Il mercato europeo in generale, e di conseguenza quello italiano -spiega  Davide Fiatti, responsabile del settore florovivaismo per la Flai Cgil- è invaso dai fiori, soprattutto rose, che provengono da Kenya e paesi africani e sudamericani. Costano poco, 4-5 centesimi a stelo, compreso il trasporto, contro i 18-20 centesimi dello stelo italiano appena uscito dalla serra”.

Ma si tratta, spiega il sindacalista, di una concorrenza sleale. “Il prezzo delle rose del Kenya è così basso perché la manodopera utilizzata viene pagata pochissimo e spesso non usufruisce neanche dei diritti elementari dei lavoratori. Inoltre, le serre in Africa o in altri paesi caldi non hanno bisogno del riscaldamento artificiale e c’è un risparmio netto sui costi energetici”. Questa forma di dumping, unita alla peculiarità del settore (“in tempi di crisi -dice ancora Fiatti- al pane non si rinuncia, ma alle rose si'”), ha messo in allarme imprese e sindacati. In Italia, le serre sono comprese nei complessivi 15.000 ettari coltivati a fiori e piante, una superficie quasi doppia di quella coltivata in Olanda, che e’ il primo esportatore di fiori europeo (l’Italia e’ il secondo). Nel florovivaismo, lavorano circa 200.000 lavoratori, di cui il 10% circa addetti nelle serre.

“Anche i costi energetici e la parcellizzazione delle aziende, di dimensione media di 1 ettaro, sono fattori -aggiunge Fiatti- molto critici, insieme alla presenza di lavoro sommerso o sottopagato. Per questo, a Imperia imprese e sindacati hanno aderito al progetto ‘Fiore giusto’, partito dall’Olanda e che si propone di sviluppare anche in Italia una certificazione sociale e ambientale che garantisca i consumatori rispetto alle condizioni di produzione dei fiori che acquistano”.

Anche Carlo Galuppi, coordinatore nazionale del settore florovivaistico della Fai Cisl, condivide le preoccupazioni. “In questo momento -sostiene- stanno sul mercato solo le aziende italiane che hanno innovato molto in termini di energia o che hanno produzioni più ricercate, più qualificate. Ma gli alti costi energetici uniti all’incertezza sugli incentivi alle energie rinnovabili, rischiano di far sparire -conclude- molti posti di lavoro”.

“La crisi economica -aggiunge Pasquale Papiccio, della Uila Uil nazionale- ha colpito duramente anche il settore floricolo. E per risolvere il caro gasolio, tenuto conto che sul prezzo alla fonte non si può intervenire, occorre che il governo riduca le accise così come occorre che il governo decida cosa vuol fare degli incentivi alle rinnovabili”. Ma la concorrenza dai paesi africani è dura da battere, conclude Papiccio: “Meglio puntare sulla diversificazione dei prodotti e sulla qualita’”.

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