Non profit

L’intervista mai riuscita

Ecco la cronaca del tentativo d'intervistare il discusso artista monzese

di Lorenzo Alvaro

Questa è la cronaca di un’intervista mai riuscita. Giorni fa, pensando a questo numero di Vita su “dove eravamo rimasti”, l’idea fu di proporre un dialogo con Marco “Morgan” Castoldi. Si sarebbe parlato di tutto quello che è successo dopo l’infausta (per lui) dichiarazione rilasciata a Max sull’uso di crack. Da lì l’espulsione da Sanremo, l’allontanamento da X Factor (anche se l’artista sostiene di essersi ritirato) e tanto silenzio sino alla nuova polemica con Tosi, sindaco di Verona. È cominciata così una rincorsa ad un personaggio sfuggente, una danza tra appuntamenti e rifiuti che incredibilmente è riuscita, più di quanto avrebbero potuto le sue risposte, nel farcelo conoscere.

“Ci sono venditori di difficoltà”. Questa è la frase apparsa sulla homepage del sito di Morgan quando vi entrai la prima volta. Il sistema ad ogni accesso cambia automaticamente la frase di benvenuto, ma io, forse per romanticheria, ho sempre preferito pensare o voluto credere che fosse lui ogni mattina a scrivere la frase più adatta per quel giorno. In ogni caso, di lì a poco, avrei scoperto che questi “venditori di difficoltà” esistono per davvero e stanno vicino a Morgan. Era un venerdì. Sapevo che quella sera a Milano, ai Magazzini Generali, avrebbe suonato Daniele “Megahertz” Dupuis, che spesso accompagna Morgan in tournèe. Avendo dei contatti con lui ho pensato di andare al concerto e incontrarlo per chiedergli di fare da tramite. La risposta fu «faccio quello che posso volentieri». Con il senno di poi non avrebbe dovuto suonarmi molto incoraggiante. Ma sul momento la trovai entusiasmante. Così lunedì, quando Megahertz mi fece sapere, via Facebook, che la cosa si stava rivelando più complicata del previsto, ci rimasi male. Decisi di affidarmi ad un collega, Marco Dotti, con cui cominciammo a far girare la voce. La richiesta era semplice “chi ha un numero utile ci dia una mano”. In parallelo chiamai la casa discografica, picche, dopodichè il manager Davide, picche. La mattina di martedì arriva un mail da un collega de Il Manifesto. Un numero di cellulare accompagnato da poche parole “potrebbe essere il suo numero”. Un esempio di gratuità e collaborazione più unico che raro, in un mondo di gente che chiude i contatti nei doppi fondi delle proprie cassettiere.

“Capisco quasi tutti i lati del carattere da come uno si comporta nel parcheggio”. Oggi sul suo sito una frase simpatica che mi rendeva fiducioso. Di lì a pochi minuti mi sarei reso conto che anche dal modo di rispondere al telefono si può risalire ad una buona approssimazione di chi c’è dall’altra parte della cornetta. Dopo aver letto e riletto il numero consigliatomi mi decido e lo compongo. Passano pochi squilli, al massimo due, e una voce cavernosa risponde prontamente. Era lui. Mi sono accorto di essere emozionato. Un po’ perchè avevo fatto centro, un po’ perchè in fondo ero al telefono con un mio mito musicale. «Buongiorno Maestro, mi chiamo Lorenzo Maria Alvaro. La chiamo perchè…». In un nano secondo mi si riversa addosso un mare di parole. «Ma come si permette di chiamarmi al telefono. È un atteggiamento scorretto. Come faccio a sapere lei chi è? Come posso essere sicuro che lei è chi dice di essere?». Non mi aspettavo certo una telefonata facile, ma la china che aveva preso la conversazione superava di gran lunga ogni mia più nera previsione. «Ha ragione Maestro. Le posso assicurare però che l’ultima delle mie intenzioni era disturbarla o adirarla. Il fatto è che ho provato con tutti gli altri canali…». Non riuscivo a finire una frase che l’uragano tornava ad abbattersi con più violenza. «Per quel che ne so per me lei può essere un ciarlatano qualunque», «Maestro questo però mi sembra un po’ esagerato, addirittura darmi del ciarlatano? Per una chiamata?», «ma no, nel senso de “Il Ciarlatano” di Bernardino Mei», incredibile, ma certo, come ho fatto a non capire che era un complimento! Continua ad essere sospettoso. Prima non crede che ho parlato con il suo manager, gli dimostro che si sbaglia. Poi non crede che abbia mandato una mail alla casa discografica, gli dimostro che invece è stata scritta e spedita. A quel punto cambia tutto. Cambia tono, si rilassa e mi racconta dei problemi con il computer. Hackers che si introducono nella sua macchina e gli saccheggiano il lavoro. Crash continui, provocati dai medesimi pirati, numeri (il 23) ricorrenti, parole come Ginevra che continuano a tornare. Mi fa domande. Io do risposte, per quel poco che ne so e per quel poco che capisco. Mi rendo conto che è una sorta di prova del fuoco, forse. Conosco uno che se ne intende, gli propongo un incontro per vedere se si può fare qualcosa. Accetta. Dopo una pausa aggiunge «Ma tu cosa ci guadagni a intervistare me, quanti soldi?». Rispondo che ho un contratto, e certamente non mi verranno riconosciuti degli extra con la sua intervista. Vorrei aggiungere che in ogni caso lo voglio intervistare innanzitutto per passione, ma sarebbe troppo servile, lascio perdere. È stranito «E come fai a vivere? Io spendo mille euro al giorno!». Non mi resta altro che rispondergli che ce la faccio, organizzandomi. Siamo in tanti a non guadagnare cifre astronomiche, «non è che ci chiamano “generazione mille euro” per niente». La telefonata si chiude con una precisazione da parte sua «sia chiaro che ti sto usando per incontrare il tuo amico», lo rassicuro «sia chiaro che sto usando il tuo bisogno del mio amico per intervistarti».

“Abbiamo fatto un figlio strano: non gioca in cortile”. Indubbiamente è un personaggio. Il primo round con Morgan posso dire di averlo portato a casa. C’è una cosa che mi stride però. Ho la netta sensazione che lui abbia ritenuto di avermi tenuto in pugno nella conversazione. Possibile che non si sia accorto che, se avessi registrato la telefonata, avrei potuto metterlo nella stessa situazione in cui si era trovato prima del festival? Giocando sui discorsi degli hackers, dei numeri, delle parole avrei potuto imbastire un pezzo in cui lo facevo passare per paranoico, ossessionato e ossessionante. Magari con allegata l’opinione di uno psicoterapeuta. Il fatto è che parlava a ruota libera. A ragionarci su l’esplosione d’ira iniziale poteva sembrare un pretesto. Chi, innervosito e scocciato da una chiamata indesiderata, passa poi mezz’ora al telefono a disquisire del più e del meno? O è una persona sola, che ha bisogno di calore umano. Oppure è una che si diverte. In entrambi i casi si tratta di uno “strano”, nel senso di insolito, singolare. Lo stesso giorno gli scrivo che il mio conoscente è disponibile solo la sera stessa e quella successiva. Poi sarà in giro per l’Europa. Mi risponde “Facciamo stasera a Milano”. Niente ora né posto. Poco dopo sposta tutto all’indomani. Ha troppi impegni.

“Quando uno conosce la risposta ma non la dà, aspettatevi brutte sorprese!”. Non è tanto l’incipit della frase quotidiana a mettermi ansia quanto il dovermi aspettare sorprese nefaste. Castoldi alias Morgan, ha deciso che devo mettermi d’accordo con Davide il suo assistente. Così lo chiamo. Un ragazzo disponibile, collaborativo e professionale: mi sento in buone mani. Ci mettiamo d’accordo per un giovedì sera. Seconda serata. Per il luogo, direttamente Morgan, vedeva di buon occhio l’ipotesi di trovarsi a casa mia. L’ennesima stranezza cui non faccio più caso. Anche perchè mi fa piacere. L’appuntamento è fissato. Alle 23 incontrerò il maestro. Compro Coca Cola e Red Bull, so che ne beve litri. Davide poi mi dice «se poi vuoi prendere qualcosa da stuzzicare buttati sui marshmallows, mangia solo quelli». All’inizio pensavo fosse una battuta. Naturalmente invece era serissimo.

“L’astinenza vale quando c’è un’alternativa”. Questo pensiero ha acquistato un senso solo quando, verso le 5 del pomeriggio, vengo contattato da Davide per annullare l’appuntamento. «Abbiamo una cena, non riusciremo ad esserci per le 23 e forse nemmeno per mezzanotte. Diventerebbe troppo tardi». Comincio ad andare in astinenza di certezze e senza valide alternative. Non ho un piano b. O intervisto Morgan oppure non ho un pezzo. E la cosa si complica perchè la merce di scambio, il mio amico esperto di pc, a questo punto è fuori dai giochi. Parte e non potrà partecipare. Lo rendo noto a Davide. È un professionista, mi ha detto si per l’intervista e farà il possibile per fare in modo di accontentarmi. Non posso che fidarmi. Nel frattempo gli mando un messaggio (sul caso Belen, che lo tira nuovamente in ballo per i discorsi sul binomio vip-droga) in modo da fargli presente che sono ancora determinato e sulle sue tracce. Con Davide ci accordiamo per un nuovo appuntamento. Questa volta alle 16, nel roseto della Villa Reale di Monza. «A Marco piace stare all’aperto». Non ho obiezioni. Rendo noto a Marco Dotti, che mi accompagnerà, che forse ci siamo.

“Ora applicherò alla mia vita i puntini di sospensione”. So benissimo che potrà succedere qualunque cosa. Che finché non lo avrò davanti tutte le mi aspettative, le mie sensazioni e le mie speranze devono rimanere in stand by. Sia durante la mattinata, che poi, quando mi metto in auto e affronto la Milano dei “100 progetti” morattiani. Una sequela di cantieri, deviazioni e file interminabili. Per raggiungere Monza ci metto lo stesso tempo che serve per raggiungere Santa Margherita Ligure. Quando ormai credo di esserci, all’altezza di via Gramsci 7 (l’appuntamento è al civico 10) squilla il cellulare. Sul display lampeggia il nome di Davide. Rispondo con la voce che trema. So già cosa mi dirà. È imbarazzato «mi dispiace ma Marco è in studio, oggi non esce. Ho dovuto sospendere e far slittare tutti gli appuntamenti. Anche cose molto importanti». Noto il sottile messaggio subliminale. Se slitto le cose importanti figurati voi due! Cercando di essere il più calmo possibile gli dico che non fa nulla ma che «ho bisogno dell’intervista per martedì, assolutamente. Dobbiamo fissare un altro appuntamento». A questo punto mi risponde «senti secondo me è il caso che lo chiami direttamente. Se non sbaglio hai il suo numero. Prova a sentirlo tu domenica». Le imprecazioni, una volta riattaccato, si sprecano. Capisco che nel momento in cui Morgan mi dirà personalmente che non ha tempo per incontrarmi non ci sarà più nulla da fare. Questo nell’ipotesi che risponda nuovamente al telefono. Sono senza l’intervista, senza un’idea e non ho incontrato uno che ritengo essere fra i migliori musicisti italiani viventi. Morale a terra e sensazione di morte diffusa.

“Il cimitero può attendere”. Già, ho avuto due giorni per pensare. Mi sono accorto che non mi serve l’intervista. Ora ho solo l’interesse personale di incontrare Marco Castoldi. Morgan, il suo alter ego artistico, lo lascio a chi vuol tentare la ventura. Mi rendo conto solo ora di aver, senza mai incontrarlo, conosciuto chi c’è dietro la maschera televisiva. Un ragazzo che inverte ogni schema per esigenza. Ma contemporaneamente sogna la normalità: i giardini, casa mia, i marshmallows. Ma non solo. Ora, al suo discorso sull’uso terapeutico della cocaina, ci credo. Si tratta di un uomo più sensibile degli altri, come in ogni esempio di genio musicale e non. Una sensibilità che lo porta a star male. Niente lascia pensare ad un re dello sballo. È vero la scelta del manager di farmi parlare direttamente con lui può essere uno scaricarsi di un fastidio. Ma è anche una cosa mai vista. Una sovversione di ruoli unica. Più che un manager sembra una mamma apprensiva e sfiduciata per il suo ragazzo che da problemi. Troppi i momenti in cui la strafottenza di Morgan lascia il passo alla fragilità di Marco. Mi viene in mente la puntata di “Porta a Porta”. Forse il momento più umiliante per uno che ha sempre avuto bisogno di schemi e sistemi per eluderli, scombinarli e liberarsene. Quella volta, di fronte a Bruno Vespa, andò in scena una sorta di redenzione dell’anarchico. Un esorcismo per estirpare la sua autonomia e sacrificarlo così all’altare dell’auditel.

Certamente è uno difficile, a tratti innervosente. Spesso ingenuo e infantile. Di certo non è banale o scontato. Libero, almeno quando non decide di essere schiavo di se stesso o delle sostanze. La mia ricerca di un incontro continuerà. Ma per un interesse umano non lavorativo. Marco Castoldi è una persona che vale la pena di essere conosciuta. Più di Morgan.


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