Welfare
L’integrazione misurata con lo spazzolino
Il governo ha varato il primo studio per valutare quanto gli stranieri siano integrati. Nel questionario domande curiose. Comprese quelle sull'igiene dentale
di Redazione
Quanto è integrato un migrante se si lava i denti tre volte al giorno? E uno straniero naturalizzato che non vota alle Europee? Domande come queste suonano assurde, eppure sono state impiegate nel «Primo studio sugli indicatori del grado di integrazione in Germania», commissionato dal governo federale.
Nella ricerca sono stati indagati certamente fattori ben più determinanti dell’igiene orale, o della partecipazione alle elezioni trascurate anche dai cittadini tedeschi. Si è tenuto conto ad esempio di indicatori come il successo scolastico o l’accesso ai servizi pubblici. Ma tra i risultati più rilevanti dal rapporto è emersa proprio la difficoltà di elaborare una metodologia che definisca con precisione il successo delle politiche di integrazione.
Nello studio di più di 200 pagine l’Istituto per la ricerca sociale (Isg) e il Centro della scienza di Berlino (Wzb) hanno impiegato ben 100 indicatori raggruppati in 14 ambiti, che vanno dal mercato del lavoro all’educazione per arrivare all’attività politica e alla criminalità. Questi indicatori sono stati elaborati per confrontare empiricamente le condizioni di vita dei cittadini tedeschi e degli stranieri nel periodo determinato tra il 2005 e il 2007.
«Questa ricerca è un primo successo, ma lo scopo che ci si è posti non è stato ancora raggiunto», ha dichiarato con cautela l’incaricata federale per l’Immigrazione, Maria Böhmer.
Molti degli indicatori usati, infatti, si sono rivelati poco utili al fine di constatare il grado di integrazione. Per questo, pochi giorni dopo la pubblicazione dello studio, i Länder tedeschi si sono accordati per ridurre il loro numero a 28.
Il problema maggiore però appare quello dell’oggetto stesso dell’indagine. Lo studio si pone l’obiettivo ambizioso di rendere conto di 15,3 milioni di cittadini che hanno un cosiddetto “background migratorio”. Un termine ampio che abbraccia, oltre che i migranti in senso stretto e i loro figli, anche i cittadini stranieri naturalizzati. Molte fonti statistiche però distinguono solo tra chi ha la cittadinanza e chi no, rendendo di fatto invisibile quella fetta di immigrati naturalizzati che pur sempre mantengono un passato migratorio. A complicare il tutto è il fatto che la multipla cittadinanza in Germania è concessa solo ai cittadini dell’Unione Europea e della Svizzera ma non ad esempio ai turchi.
Per di più gli indicatori che si basano esclusivamente sulla cittadinanza sono tra i più delicati, come quello riguardante la formazione o la criminalità. Lo studio ad esempio afferma che il 34,2% dei tedeschi si laurea, mentre solo il 13,1% degli stranieri ce la fa. Peccato però che l’Ufficio statistico federale che ha fornito i dati distingua solo tra chi ha il passaporto tedesco e chi no.
Nonostante le difficoltà che derivano dalla materia, la Repubblica federale tedesca ha comunque il merito di aver elaborato una strategia nazionale per monitorare l’andamento dell’immigrazione. Inoltre a metà giugno presso la Cancelleria federale è stata organizzata una conferenza europea per discutere su un modello comune di indicatori. Anche qui non sono mancate le difficoltà, a partire dal diverso tipo di immigrazione da Paese a Paese e dal differente livello in cui gli Stati europei sono arrivati a misurare l’integrazione. Al termine della conferenza, Germania, Francia, Repubblica Ceca, Spagna e Svezia hanno firmato un documento in cui sono stati fissati gli ambiti principali in cui sviluppare degli indicatori comuni.
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