Volontariato

L’insegnamento di Mario e Fermo al Movimento per la pace. Per noi, oggi

di Pasquale Pugliese

Una Città per la Pace è il cartellone di iniziative che si svolge in febbraio a Reggio Emilia, intorno all’anniversario dell’eccidio del 25 febbraio 1915. Si parte sabato 11, con l’incontro con il filosofo Giuliano Pontara, che presenta il suo nuovo libro “Quale Pace?”, e si va avanti fino al Seminario storico “Ma la guerra NO!” di sabato 25. Riporto qui, in anteprima, l’introduzione al numero monografico di “Pollicino gnus” di febbraio 2017 dedicato a Mario Baricchi e Fermo Angioletti.

E’ passato un lustro dal primo Seminario pubblico che ha riportato alla memoria di Reggio Emilia la tragica vicenda di Mario Baricchi e Fermo Angioletti, i giovanissimi antimiliaristi reggiani uccisi dal regio esercito italiano, il 25 febbraio del 1915, nel vano tentativo di fermare quella carneficina che sarà ricordata come la “grande guerra”. Della quale invece furono le prime vittime, cadute davanti al Teatro Ariosto della loro città.

Mario e Fermo – anti-interventisti come la maggior parte del popolo e del parlamento italiani – probabilmente non conoscevano i massicci finanziamenti che le aziende produttrici di armi, come l’Ansaldo e l’Ilva, facevano nei confronti della stampa italiana affinché spingesse l’opinione pubblica verso l’interventismo. Anche finanziando direttamente la nascita di quotidiani come il Popolo d’Italia di un certo Benito Mussolini, cacciato dal neutralista Partito Socialista. Non sapevano i giovani reggiani che iniziava allora una commistione di interessi che stava collegando quello che sarà successivamente chiamato il “complesso militare-industriale”, quel sistema che ancora oggi è capace di mobilitare a comando risorse economiche, strumenti di “informazione” e governi verso questo o qull’intervento militare, spacciato per “missione di pace” o “lotta al terrorismo”. Ma, in realtà, esito inevitabile della continua corsa agli armamenti, sul cui altare – oggi come un secolo fa – si sacrificano enormi risorse pubbliche e vite umane. Proprio come quelle di Mario e Fermo.

Infatti, durante questi cinque anni dal nostro primo Seminario, non solo la Storia non si è dimostrata magistra vitae – evitando agli uomini di rifare gli errori del passato – ma si è sviluppata quella che papa Francesco continua a chiamare la “terza guerra mondiale a pezzi”. Una conflittualità bellica diffusa, che attraversa il pianeta in un crescendo di guerre e terrorismi, che colpiscono anche nel cuore d’Europa. Così come la corsa agli armamenti delle grandi potenze europee all’inizio del secolo scorso costituì il piano inclinato lungo il quale il mondo scivolò nella guerra del 1914, anche oggi assistiamo ad una nuova corsa ad armamenti sempre più costosi e distruttivi. Il filosofo Giuliano Pontara, nel suo nuovo libro Quale pace? – citando il rapporto del SIPRI – ricorda che “rispetto al periodo 2004-2009, nel quinquennio 2010-2015 il volume di trasferimenti mondiali di armamenti pesanti convenzionali è aumentato del 16%”. Inoltre, “nove stati sono complessivamente in possesso di circa 15.850 armi nucleari, di cui 4.300 operative; 1.800 sono tenute in stato di allerta, impiegabili con breve preavviso”.

In questa follia collettiva il nostro Paese non rimane certo indietro: come spiega il rapporto dell’Osservatorio italiano sulle spese militari, il governo italiano brucerà quest’anno sull’altare della preparazione della guerra qualcosa come 23,4 miliardi di euro, equivalenti a 64 milioni al giorno! Ciò significa, tra l’altro, che negli ultimi dieci anni – attraversati dalla gravissima crisi economica con i pesanti tagli alle spese sociali e ai diritti delle persone – le spese militari italiane sono aumentate del 21%! Non è un caso, del resto, che tra il 2015 e il 2016 i profitti dei produttori italiani di armi siano addirittura triplicati! L’impegno per la pace è dunque, oggi, più urgente che mai.

Tuttavia, la tragica vicenda di Mario e Fermo, che tentarono – invano – di fermare una macchina da guerra che aveva già avviato i motori, deve essere di insegnamento anche per chi si oppone alle guerre contemporanee. Dopo i sostanziali fallimenti dei tentativi di fermare le imprese belliche nei quali il nostro Paese è stato ininterrottamente impegnato negli ultimi 25 anni, è tempo di fare un salto di paradigma: dall’inefficace movimento contro la guerra occorre passare ad un vero “movimento per la pace”, ossia alla costruzione di un movimento che sia capace di pianificare, contemporaneamente, cultura, politica ed economia di pace. E’ necessario passare da un generico pacifismo che si limiti a fare – al bisogno – le manifestazione contro la guerra e/o il terrorismo, sperando che solo queste possano servire a qualcosa, ad un nuovo impegno per la pace, all’altezza dei tempi, che sia fondante e prioritario rispetto a qualunque altro compito politico. Un movimento per la pace che – ricollegandosi ai fondamenti del nostro Patto costituzionale – agisca continuativamente e quotidianamente per il disarmo militare e culturale, per la costruzione delle alternative nonviolente alla difesa militare e all’intervento nelle “controversie internazionali”, nella riconversione dell’industria bellica in civile ed ecologica. Sono questi, per esempio, gli impegni che le Reti nonviolente e disarmiste hanno portato avanti in questi anni, attraverso campagne di mobilitazione e di informazione (da Taglia le ali alle armi a Un’altra difesa è possibile) e che adesso è tempo che diventino patrimonio comune – moltiplicandone l’impatto – di tutti i cittadini e dei movimenti politici contrari alle guerre e ai terrorismi.
Ormai l’alternativa è secca, nonviolenza o barbarie!

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