Welfare
L’innovazione sociale non si fa solo con gli investimenti
«Se l’impresa sociale divenisse un semplice veicolo per attrarre qualche finanziamento in settori a vocazione sociale, ma senza porsi in una logica di riduzione delle diseguaglianze, allora avremo fallito», sottolinea Giuseppe Guerini presidente di Federsolidarietà – Confcooperative e portavoce dell'Alleanza Cooperative Sociali
Da qualche anno il tema dell’innovazione sociale ha catalizzato molte attenzioni, non solo nell’ambito dei soliti circuiti dell’impegno sociale e del non profit, ma anzi per alcuni aspetti ha viaggiato più sui canali delle istituzioni, soprattutto europee, e della finanza. Molto da questo punti di vista ha contato l’interesse suscitato dal tema degli investimenti ad impatto sociale. A breve, avremo finalmente i decreti attuativi della riforma del terzo settore, che ci auspichiamo daranno un contributo per “liberare” il potenziale dell’imprenditoria sociale, si potrà così misurare da un lato l’effettivo interesse e disponibilità degli investitori ad esplorare questi potenziali, dall’altro la maturità imprenditoriale del “terzo settore produttivo.
Quindi, assunto che ora si possono davvero metter in campo nuovi investimenti sociali e aprire una nuova stagione per l’impresa sociale, sento il preponente bisogno di rimettere al cento dell’attenzione un tema, che in un certo senso abbiamo un po’ trascurato nei dibattiti di questi anni. Ovvero: in quale direzione vogliamo spingere l’innovazione sociale? Sono convinto che l’orientamento debba puntare decisamente sui temi dell’equità e della giustizia sociale.
Dobbiamo avere la forza e la capacità, come movimenti legati all’economia sociale e al terzo settore, di utilizzare l’impresa sociale, come potente veicolo di inclusione sociale e di trasformazione che aumenti fortemente il numero di persone che partecipano attivamente alle attività economiche in un disegno di coinvolgimento e di protagonismo economico e sociale diffuso.
Se l’impresa sociale divenisse al contrario un semplice veicolo per attrarre qualche investimento in settori a vocazione sociale, ma senza porsi in una logica di riduzione delle diseguaglianze, allora avremo fallito! Ma non ci saranno alibi, non potremo lamentarci perché il condizionamento del denaro e la mercificazione del sociale hanno vinto sui valori del terzo settore, perché in fondo, sono convinto, che capitali e investimenti possono essere neutri sul piano morale, mentre sono i nostri comportamenti come imprenditori sociali che dovranno saper risignificare la funzione dei capitali investiti e soprattutto orientare le direzioni dell’innovazione verso la giustizia sociale, che non necessariamente si manifesta nel fare sempre e soltanto cose nuove, ma danno nuovo valore anche ad esperienze consolidate del welfare più tradizionale a cui a volte, l’eccesso di enfasi sull’innovazione a tutti i costi, ha sottratto attenzioni che rischiano di erodere la motivazione degli operatori, rubricato toppo frettolosamente alcuni servizi come prestazione di welfare del secolo scorso.
Ci vuole infatti un grande spirito di innovazione a dare ogni giorno un significato a gesti di cura e assistenza ad un malato cronico, ad una persona con grave disabilità, ad una persona senza tetto o ad un paziente psichiatrico.
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