Welfare

L’innovazione a break-even

di Flaviano Zandonai

 

Quanti anni sono passati? Cinque? Sette? Per quanto mi riguarda ricordo un’edizione del Workshop sull’impresa sociale più o meno di quell’epoca dove organizzammo una sessione di scambio di pratiche tra consorzi di cooperative sociali e spazi di coworking ispirati dall’innovazione sociale. Sembrava fantascienza: strutture nascenti e reti d’impresa sociale consolidate, con tanto d’intervista sottotitolata all’ultimo minuto al fondatore della rete The Hub. Di acqua, come si suol dire, ne è passata sotto i ponti: nei giorni scorsi il principale gruppo di coop sociali (Cgm) ha invitato un altro importante player dell’innovazione sociale (Avanzi) ai suoi stati generali e pare faranno qualcosa insieme. Nel mezzo alcune esperienze localizzate come Fab. Ancora troppo poche per fare massa critica, ma tant’è.

La new wave dell’innovazione sociale ha ormai una bella cresta che in molti provano a surfare, come mi diceva qualche giorno fa un imprenditore sociale. Ma al di là dell’adrenalina da un mercoledì da leoni, è forse più utile cercare di tirare le somme. Usando il gergo aziendalistico, si tratta di capire se le diverse fenomenologie di questo ciclo recente d’innovazione sociale hanno raggiunto il loro punto di break-even, oltre il quale il conto (in questo caso non solo economico) diventa da rosso a nero. Oppure, utilizzando un linguaggio più politologico, si può stabilire se queste stesse iniziative sono a sistema, cioè sono entrate a far parte delle politiche ordinarie di sviluppo (lavoro, impresa, sociale, educazione, ecc.), o se invece sono ancora al di fuori dell’attività di policy making o addirittura relegate nella riserva indiana di qualche policy settoriale (innovazione, nuova imprenditorialità, digitale, ecc.). Ma a prescindere dal termine, le questioni di fondo sono sempre due: la sostenibilità delle iniziative e la loro capacità di impattare sui sistemi economici, sociali e normativi. Occorre quindi una valutazione di medio termine, a onda alta, guardando sia indietro che in avanti. Considerando cioè ciò che è stato fatto e quanto resta da fare.

Scelgo tre campi di innovazione sociale che mi sembrano particolarmente rilevanti: gli spazi di coworking, le competizioni che premiano l’innovazione sociale e le attività di rigenerazione di immobili. Sono campi molto densi di innovazione. Altro che semplici spazi con scrivanie e rete wifi; i coworking sono luoghi dove si sviluppa un nuovo mutualismo tra imprenditori e professionisti, un vero e proprio contesto generativo che peraltro molto spesso intercetta i flussi globali dell’innovazione sociale. Per non parlare delle competizioni. Va bene il premio in denaro, ma ci sono aspetti altrettanto rilevanti: la crescita delle dimensione progettuale, la possibilità di accedere a contributi di consulenza e accompagnamento, per non parlare della generazione di una conoscenza dal basso che andrebbe resa disponibile come bene comune. Infine la rigenerazione mette al centro il riuso come nuovo paradigma e chiama in causa i processi di aggregazione sociale (on e off line) che definiscono la destinazione d’uso di spazi abbandonati o sottoutilizzati per nuove finalità di interesse collettivo.

Scelgo anche tre indicatori di valutazione. 1) I modelli di business perché l’innovazione sociale passa spesso, anche se non sempre, da processi imprenditoriali di produzione di beni e servizi. 2) L’efficacia rispetto ai beneficiari che sono tanti e diversificati, però è anche relativamente semplice individuarne l’ordine di rilevanza. 3) La scalabibilità, ovvero quanto queste iniziative sono in grado di andare oltre la sperimentazione localizzata, generando l’agognato impatto che contribuisce a “cambiare le regole del gioco” e quindi a realizzare, nel suo significato più autentico, innovazione sociale.

Incrociando indicatori e fenomenologie ne esce una matrice dove si possono inserire contenuti valutativi. Ci provo.

La produzione di valore vede un ruolo chiave delle economie esterne, di tutto ciò che non è generato direttamente dal core-business. Non esternalità casuali, ma indotto dell’attività principale. Di coworking nudo e crudo (affitto spazi) non si vive, ma il coworking genera opportunità sul fronte delle progettualità di rete e della consulenza a favore di altri enti e istituzioni. Nelle competizioni è sempre più ricercato, prima ancora del premio in denaro, la qualità del in kind ovvero dell’accompagnamento. Le trenta semifinaliste della seconda edizione della social innovation competition europea saranno tre giorni al parco tecnologico di Bilbao per accelerare il loro progetto. Molto più dei 20mila euro per il primo classificato.

Il fattore C. va considerato sia nel suo significato autentico (perché ci vuole), sia legato alla creazione e gestione di comunità. Nei coworking sono all’opera comunità non solo professionali, ma che generano transizione verso nuovi modelli di lavoro e generano contenuti e processi innovativi. Allo stesso modo i partecipanti alle competizioni sono comunità in forma di intelligenza collettiva sull’innovazione sociale, condividendo significati e progettualità (a patto di poter contare sui giusti incentivi). Nei processi di rigenerazione la comunità assume la forma di una coalizione di attori diversi che si organizza in vista dell’obiettivo di ridare vita (strutturale e di senso) a un immobile come spazio pubblico.

La scalabilità, infine, si realizza non tanto chiamando a raccolta gli attori che agiscono direttamente l’innovazione sociale sociale nei contesti indicati. Avviene piuttosto ricercando collaborazioni stabili e a più ampio raggio con soggetti diversi. Un coworking “scala” se ha legami forti con imprese e istituzioni. Le competizioni possono sfruttare le premialità per favorire periodi di permanenza delle idee selezionate in contesti organizzativi strutturati e competenti. E la rigenerazione funziona nella misura in cui facilita la sperimentazione di nuove politiche sociali, abitative, culturali e del lavoro. In altre parole l’innovazione sociale va a break-even se, incuneandosi in altri contesti che la sanno accogliere, infonde il cambiamento di cui è portatrice. Manca poco, ma il traguardo non è raggiunto.

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