Non profit
L’indulto? I numeri dicono che non è quello il problema
La prova che giornali e politica hanno montato un caso inesistente e che il vero poblema sia la crisi del terzo settore
A Napoli l?emergenza indulto c?è e si vede. Ma vietato gridare ?al lupo?. «Al 30 ottobre, in Campania, su un totale di 2.791 indultati, i recidivi sono stati 192», dice l?ispettore Napolitano, responsabile detenuti del Prap, il Provveditorato regionale dell?amministrazione penitenziaria. Meno dell?7%, quindi. Dietro a un indultato recidivo non c?è un?orda di barbari pronti a mettere a soqquadro Napoli. «Il vero problema da risolvere», aggiunge Napolitano, «è il reinserimento nella società degli altri beneficiari dell?indulto».
Sono almeno tre i fattori che rischiano di far fallire questo reinserimento. Il primo fattore è strutturale: la maggior parte delle persone rimesse in libertà è tornata a Napoli, luogo di nascita o di vita. «Il ritorno nei luoghi del passato per un delinquente è pericoloso, la volontà di cambiare vita non basta se la persona non ha appoggi ?puliti?», afferma Domenico Paonessa, direttore dell?Uepe – Ufficio esecuzioni penali esterne di Napoli, organo che si occupa di trasformare le detenzioni in pene alternative. «Serve un forte intervento motivazionale, una fitta rete di attori sociali e un concreto impegno economico», aggiunge.
Il secondo fattore è proprio di natura economica: i fondi statali non arrivano. Lo stesso Prap sta ancora aspettando di ricevere, due mesi dopo la scadenza del bando, la propria parte dei tre milioni di euro stanziati dal ministero della Giustizia tramite la Cassa delle Ammende. Soldi destinati a borse lavoro per gli indultati che, nel frattempo, rimangono al palo. «Si sta inseguendo un treno che si è già mosso dal binario», dice Paonessa.
Solo fondi regionali
Per ora, a Napoli come altrove, gli unici fondi a disposizione degli operatori sono quelli regionali. «Anche se pochi, questi soldi ci hanno permesso di dare una casa a chi, uscito dal carcere, non l?aveva più», dice Vincenzo Federico, fino a un mese fa responsabile generale di Caritas Campania. «Ma serve un impegno più grande, anche da parte della società civile», aggiunge Federico che ora si occupa, sempre per Caritas, di sistema carcerario. A lui fa eco Giuseppe Battaglia, consigliere della Federazione Città sociale, ente che raccoglie una decina di associazioni e cooperative sociali di Napoli. «Il terzo settore fa la sua parte, ma non basta, ha mezzi limitati», aggiunge Battaglia.
Ecco il terzo fattore. Il sociale napoletano non ce la fa. In primis per una preoccupante mancanza di volontari: «Siamo sempre di meno», dice Annunziata Apollonia, referente campana della Conferenza nazionale volontariato e giustizia.
Apollonia da 19 anni è volontaria nella casa circondariale di Poggioreale. Spiega: «Il vero problema del non profit napoletano è una sorta di inversione di ruoli con le aziende. Le cooperative dovrebbero essere la cerniera verso il mondo della produzione, ma finiscono per assorbire la manodopera anziché accompagnarla, per poi doverla rifiutare quando finiscono i finanziamenti. Nel non profit napoletano manca la progettualità», conclude. «Senza le prospettive di un inserimento lavorativo stabile, anche i più volenterosi indultati si sfiduciano. E il passo verso la recidiva è molto breve».
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