Sto maturando nel tempo un disagio, quasi un fastidio per la valanga di espressioni – pubbliche e private – che rimarcano le “differenze”.
C’è chi si dice “bianco” per distinguersi dal “nero”
C’è chi si dice “italiano” per distinguersi dallo “straniero”
C’è chi si dice “cattolico” per distinguersi dall’”ateo” o dall’”islamico”
C’è chi si dice “intelligente” per distinguersi dal “cretino”
C’è chi si dice “antimafioso” per distinguersi dal “mafioso”
C’è chi si dice “abile” per distinguersi dal “disabile”
Mancano ormai all’appello solo le dichiarazioni di “essere di sinistra” (in via di estinzione) e di essere “ricco” (per paura del fisco) .Ma la verità è che siamo diventati e, forse , siamo sempre stati “razzisti”, “faziosi”, tanto che si potrebbe coniare un nuovo termine: “raz-iosi”. Pur di compiacere, siamo disposti a tutto, ad omologarci per renderci apprezzabili e poter “mangiare il cibo che cade dalla tavola dei padroni” . Nessuno più riesce a concepire che la “differenza” è l’humus vitale della vita e che senza la “differenza” sarebbe impossibile vivere. E non si tratta solo di una differenza di etnia o di religione, ma anche di colore degli occhi o dei capelli, di chi porta gli occhiali e chi no, di chi vive in centro e chi in periferia…ci sono tante differenze che non vediamo, non ci facciamo davvero caso, ma su altre siamo cinici.
La differenza che non ci piace ci porta all’insulto e, infine, all’indifferenza.
L’indifferenza, paradossalmente, non è il contrario di differenza e però è la cifra della civiltà moderna, quella in cui camminiamo a testa in giù (ci vergogniamo o stiamo chattando) o a testa in su (siamo altezzosi o stiamo sognando). Comunque la mettiamo, non guardiamo più negli occhi nessuno, ma ci arroghiamo il diritto di indicare l’altro come diverso e quindi inferiore. L’indifferenza coinvolge il concetto di libertà, poiché nella condizione di disinteresse viene a mancare la volontà che decide la scelta.
«La volontà si distoglie ormai dalla vita. L'uomo arriva allo stadio della volontaria rinuncia, della rassegnazione, della vera calma, della completa soppressione del volere. La sua volontà muta direzione, non afferma più la propria essenza rispecchiandosi nel fenomeno, ma la rinnega. Il processo, con cui ciò si manifesta, è il passaggio dalla virtù all'ascesi. A quell'uomo non basta più amare altri come se stesso e fare per loro quello che fa per sé, ma nasce in lui l'orrore per l'essere di cui è espressione il suo proprio fenomeno, per la volontà di vivere, per il nucleo e l'essenza di quel mondo da lui riconosciuto pieno di dolore. Egli rinnega appunto quest'essenza, che si manifesta in lui e si esprime mediante il suo corpo; il suo agire smentisce ora il suo fenomeno ed entra con esso in aperto conflitto. Egli, che non è se non fenomeno della volontà, cessa di volere, si guarda dall'attaccare il suo volere a qualsiasi cosa, cerca di conquistare in se stesso la massima indifferenza per ogni cosa. » (Arthur Schopenhauer)
Pensate a quanto sia triste l’indifferenza ed a quanto possa essere sinonimo di felicità la differenza, su cui si basa la vita e la relazione. Prendiamo allora la differenza come una virtù, come linfa vitale, come abbraccio e come dono: tornerà la felicità.
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