Economia

L’India inventa la Csr obbligatoria

D’ora in poi tutte le aziende che guadagnano oltre una certa soglia dovranno investire almeno il 2% dei profitti in progetti a sostegno delle comunità locali. Una mossa intelligente per favorire lo sviluppo della società, o un inaccettabile vincolo alla libertà d’impresa?

di Gabriella Meroni

 
Basta guadagni facili sulla pelle degli indiani: d’ora in poi le aziende che vorranno investire (o già investono) nel gigante asiatico dovranno “lasciare sul campo” una parte delle loro ricchezze. E’ quanto prevede una nuova legge appena entrata in vigore grazie all’approvazione del Parlamento di Nuova Dheli, e di cui si è discusso sulle colonne del Washington Post. In pratica, la normativa – chiamata “corporate responsibility law” – obbliga le aziende, indiane e non, i cui profitti superano i 78 milioni di dollari l’anno a investire almeno il 2% di questa quota in progetti di utilità sociale e sviluppo del territorio. Chi si sottraesse all’obbligo dovrà pagare salatissime multe, mentre è previsto perfino il carcere per i top manager.
Tutto bene dunque? No, perché non mancano le critiche, sponsorizzate ovviamente dalle maggiori imprese indiane, come per esempio la Bharti Airtel, gigante della telefonia, che dovrebbe aumentare i propri investimenti nel sociale da 4 a 15 milioni di dollari. C’è anche chi vede nella legge una violazione della libertà di impresa, o un tentativo dittatoriale di scollare l'India dallo stallo socioeconomico in cui si trova: contrariamente alle previsioni, infatti, i dati economici del paese non sono buoni, con la rupia in caduta libera, il crollo della competitività delle imprese (il paese è scivolato al 60esimo posto su 148 nel  Global Competitiveness Index) e ben 1,2 miliardi di indiani che vivono con meno di due dollari al giorno.


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