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L’India in fiamme ci riguarda: scontri religiosi e violenza stanno trasformando il Paese

I disordini che, in queste ore, scuotono la capitale indiana rischiano di moltiplicare i focolai di violenza ripercuotendosi su scala regionale e globale. Arundhati Roy: «Questa violenza è la versione indiana del coronavirus»

di Marco Dotti

L’India è un Paese imprevedibile. Imprevedibile e pericoloso. I disordini che in questi giorni stanno scuotendo Delhi sono molto diversi dai tumulti che abbiamo visto a Parigi, Bagdad o Santiago del Cile. A Delhi, ha notato Yasmeen Serhan sulle pagine di The Atlantic, emerge una violenza settaria. Una violenza che, improvvisamente, ha rotto mesi di proteste pacifiche per la riforma della legge di cittadinanza. Una legge che, voluta dal Primo Ministro Narendra Modi e dal suo Partito del Popolo Indiano e improntata a un nazionalismo religioso estremo, escluderebbe i fedeli di religione islamica dal novero delle «minoranze protette».


La riforma del diritto di cittadinanza ha inasprito anche le tensioni col Pakistan, ma soprattutto ha dato inizio a una serie di manifestazioni non violente (sit-in, letture pubbliche del preambolo della Costituzione, etc.) che, ora, stanno finendo nel sangue. I disordini di Delhi, però, hanno una caratteristica: i morti non sono stati causati dalla repressione delle autorità, come in Cile, ma dall’inazione delle stesse. Una sorta di doppio registro, istituzionale e sotto-istituzionale, che si lega in forme potenzialmente esplosive.

Che cosa è accaduto

La settimana scorsa, Kapil Mishra, un politico locale appartenente al partito Bharatiya Janata Party (BJP), ha pronunciato un discorso in cui chiedeva alla polizia di sgombrare le strade a nord-est di Delhi da un gruppo di donne musulmane che stavano tenendo un sit-in. Se le autorità non avessero sgombrato la strada ai manifestanti prima che Donald Trump, in visita nel Paese, avesse lasciato l’India, ha avvertito Mishra, i suoi sostenitori l’avrebbero sgombrata dopo la partenza del presidente degli Stati Uniti.

Senza aspettare, la folla ha colto nelle parole del politico un’incitazione a muoversi e a mettersi subito in movimento, picchiando e uccidendo i musulmani e saccheggiando e bruciando le loro proprietà. Nelle stesse ore, indifferente a tutto, Donald Trump elogiava la “libertà religiosa” del Primo Ministro Modi.

Decine di persone sono state uccise e decine di imprese, case e moschee sono state bruciate. La capitale dell’India ha registrato la peggiore violenza di massa degli ultimi trent’anni contro una minoranza religiosa, con un bilancio ad oggi di 67 morti.

Che cosa accadrà?

Nessuno sa dove e se la violenza potrà arrestarsi. La scrittrice Mira Kandar ha parlato di un vero e proprio pogrom, mentre Arundhati Roy, proprio nelle ore in cui nella capitale si registrano i primi casi di contagio, ha dichiarato: «Questa violenza è la versione indiana del coronavirus».

In un’accorata lettera pubblicata domenica, Arundhati Roy, attivista molto nota per le sue posizioni critiche sulla globalizzazione, ha spiegato che l’India è oramai una “democrazia” non governata e, soprattutto, non governata da una costituzione.

«Si può essere d’accordo o in disaccordo con una Costituzione nel suo insieme o in parte – ma agire come se non esistesse, come sta facendo questo governo, significa smantellare completamente la democrazia. Forse questo è l’obiettivo. Questa è la nostra versione del coronavirus. Siamo malati. Non c’è nessun aiuto all’orizzonte. Nessun paese straniero ben intenzionato. Niente Onu. E nessun partito politico che intenda vincere le elezioni vuole o può permettersi di assumere una posizione morale. Perché c’è il fuoco nei condotti. Il sistema sta fallendo».

«Quello di cui l’India ha bisogno», scrive l’autrice de Il dio delle piccole cose nel suo appello, «sono persone disposte a mettersi in pericolo. Persone disposte a dire la verità. I giornalisti coraggiosi possono farlo, e lo hanno fatto. Gli avvocati coraggiosi possono farlo, e lo hanno fatto. E gli artisti – scrittori, poeti, musicisti, pittori e cineasti belli, brillanti e coraggiosi, possono farlo. La bellezza è dalla nostra parte».

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