Una borsettina piena di lustrini a forma di gatto. Questa immagine leggiadra e infantile colpì l’immaginazione di una donna in carrozzina vicino alle macchinette delle bibite del reparto. Alzò lo sguardo e vide una ragazza dal viso stanco e dagli occhi coperti da grandi occhiali neri. “Cosa c’è di buono da prendere?” chiese con aria distratta, ma si affrettò a selezionare una cioccolata calda, senza attendere una risposta. La donna sulla sedia a rotelle la seguì incuriosita. La nuova arrivata si era seduta sconsolata su una panchina del cortile. “Posso parlarti? – le chiese – hai una borsetta bellissima!” La ragazza sorrise e si tolse gli occhiali, aveva due occhi blu dolci e sconsolati. “Scusa, sono triste,mio padre è stato appena ricoverato al reparto Alzheimer, non riesco ad accettarlo”. “Dai, ti leggo una poesia che ho scritto” le disse cordialmente la donna in carrozzina. . “Io mi chiamo Irene, che vuol dire pace” disse la ragazza triste. “Io Elena, che vuol dire, splendore del sole: luce” le rispose contenta l’autrice della poesia. Dall’incontro di Pace e Luce, nacque un’emozione forte ed inaspettata. Il ricordo di quel giorno rappresentò per le due donne un dolce conforto in molti istanti delle loro vite.
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