Welfare
L’inclusione, oltre i progetti per i bambini con disabilità
Ha preso il via "Inclusi. Dalla scuola alla vita, andata e ritorno", un progetto innovativo finanziato da Con I Bambini con l'obiettivo di lasciare in 5 regioni italiane buone pratiche più inclusive, non solo nella scuola. Tecnologie, reti con le aziende, sport, percorsi di autodeterminazione: Francesca Gennai presenta le nove azioni previste
Dalla scuola alla vita, andata e ritorno. È un movimento circolare quello che sta al cuore di “Inclusi”, il nuovo progetto per il contrasto della povertà educativa minorile con una precisa intenzionalità sull’inclusività. Non un progetto con o per i bambini e i ragazzi con disabilità, ma per costruire una società più inclusiva là dove essi vivono. Cominciando dalla scuola, certo, ma non fermandosi ad essa.
«È proprio questo l’elemento di innovazione, il fatto di intendere l’inclusione non come un elemento riferibile a un target specifico di bambini e famiglie, ma al contrario leggere l’inclusione come processo che coinvolge tutti quelli – bambini, insegnanti, educatori, allenatori, compagni di classe e di squadra, famiglie – che condividono un momento della vita» precisa Francesca Gennai, vicepresidente del Consorzio Consolida, capofila del progetto. «Anche il sottotitolo dalla scuola alla vita andata e ritorno va nella direzione di rompere i muri della scuola, in favore di quel continuum che abbracci tutta la sfera della vita di questi ragazzi. L’idea è quella di ricomporre una dimensione, quella della disabilità, oggi approcciata in maniera frammentata e disomogenea».
È proprio questo l’elemento di innovazione, il fatto di intendere l’inclusione non come un elemento riferibile a un target specifico di bambini e famiglie, ma al contrario leggere l’inclusione come processo che coinvolge tutti quelli che condividono un momento della vita. L’idea è quella di ricomporre una dimensione, quella della disabilità, oggi approcciata in maniera frammentata e disomogenea
Francesca Gennai, vicepresidente Consorzio Consolida
Il progetto è partito a novembre 2020 e durerà tre anni. Coinvolge 52 partner di 5 regioni diverse, fra cui 17 scuole. Molti gli strumenti in campo: tecnologie, competenze professionali degli insegnanti e degli educatori, rappresentazione pubblica e mediatica della fragilità, orientamento formativo e professionale. Il consorzio Consolida di Trento è capofila ed è stato finanziato da Con i Bambini con oltre 1,2 milioni di euro, proprio sul bando “Un passo avanti”, nato per stimolare progetti innovativi.
Il progetto, pensato e presentato in periodo pre Covid, incrocia alcune fra le tematiche più pregnanti di oggi, prima fra tutte la questione tecnologia e disabilità: «Se da un lato diversi alunni con disabilità sono stati esclusi dalla didattica a distanza, d’altro lato molti bambini con disabilità o difficoltà legate all’apprendimento hanno trovato nella modalità della dad la possibilità di essere più seguiti rispetto ai loro bisogni specifici. La tecnologia può aiutare quel processo di personalizzazione della didattica che molto spesso non riesce ad esser fatto nella classe in presenza. Alcune volte inclusione passa anche da un maggior investimento nell'individualizzazione, la forma ibrida è la più auspicabile e non è detto che ibrido debba per forza essere altrove, non è necessariamente riferito allo spazio. Il tema è rafforzare le competenze dei docenti sulla didattica personalizzata, anche con i supporti tecnologici adeguati. A questo sarà dedicata un’azione specifica sulle 9 del progetto», afferma Gennai.
Molti bambini con disabilità o difficoltà legate all’apprendimento hanno trovato nella modalità della DAD la possibilità di essere più seguiti rispetto ai loro bisogni specifici. La tecnologia può aiutare quel processo di personalizzazione della didattica che molto spesso non riesce ad esser fatto nella classe in presenza. Talvolta inclusione passa anche da un maggior investimento nell'individualizzazione, la forma ibrida è la più auspicabile e non è detto che ibrido debba per forza essere altrove
Le nove azioni previste oltre a quella su “tecnologia e disabilità” sono le seguenti: “orientamento personalizzato”, perché la scelta della scuola superiore va preparata in anticipo e con una visione ampia, a maggior ragione per un alunno con disabilità e poi anche l’orientamento al mondo del lavoro, cominciando dai 16 anni e sviluppando una rete di aziende; “prevenzione al bullismo” perché gli adolescenti con disabilità hanno una probabilità 2-3 volte maggiore rispetto ai loro coetanei senza disabilità di essere vittime di bullismo; un’azione sulla mobilità nelle aree interne; la formazione di mentor; sport; narrazione della disabilità perché l’esclusione spesso è dovuta più allo sguardo degli altri che alla disabilità; l’autodeterminazione e l’autorappresentanza dei giovani con disabilità, azione in capo ad Anffas.
Una parola in più merita l’azione legata al mentor: «Ci scontriamo spesso con questo tema, fra chi lavora con la disabilità. Occorre creare una filiera educativa e professionale coerente con le competenze residue dei ragazzini con disabilità, mentre quello che viviamo nei servizi è che spesso c’è una scuola che potenzia al massimo le aspettative delle famiglie, anche rispetto al curriculm lavorativo mentre poi nella realtà, quando si chiude la rete protettiva della scuola, i ragazzi si ritrovano in un contesto che non sa accoglierli», dice Gennai. La figura del mentor va in questa direzione, del «creare una filiera scolastica e lavorativa che sia coerente rispetto alle competenze residue delle persone. È un’azione molto in correlazione con la narrazione della disabilità: ci scontriamo troppo con una narrazione che nel timore di dare una visione pietistica della disabilità allora va verso una dimensione esaltativa delle disabilità ma questo porta a una distorsione nel pensare e proporre percorsi scolastici e lavorativi realistici, poggiati con i piedi per terra. La nostra idea è che il mentor sia un po’ il case manager, il trait d’union nell’allineare il progetto di vita della persone e della famiglia con i dispositivi di protezione e di orientamento con cui questa persona si trova a interfacciarsi, in modo da avere un allineamento dello sguardo del mondo adulto, così da assumere un atteggiamento coerente nei diversi ambiti».
Nel timore di dare una visione pietistica della disabilità allora talvolta si va verso una dimensione esaltativa delle disabilità, ma questo porta a una distorsione nel pensare e proporre percorsi scolastici e lavorativi realistici, poggiati con i piedi per terra
Cosa sperate che resterà, alla fine dei tre anni? «Che restino delle pratiche lavorative, sia nel contesto scolastico che nei servizi, affinché si riconosca in capo anche alle persone con disabilità la possibilità di tracciare la direzione della propria vita e quindi che venga loro consegnato un perimetro decisionale realistico in cui poterlo fare. Che dentro le scuole si sviluppi un modo di lavorare con la disabilità che porti a rendere accessibili percorsi didattici e di apprendimento dedicati. Ma anche la consapevolezza delle differenza che le persone possono portare nei contesti: negare la disabilità o normalizzarla è una modalità di occultamento che non porta a fare un pensiero di inclusione e armonizzazione», conclude Gennai.
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