Economia
L’inclusione finanziaria come strumento per la lotta contro le disuguaglianze
Arriva il Global FinLit Survey, il primo rapporto sul livello di cultura finanziaria nel mondo condotta dalla società statunitense Standard & Poor’s su 150 mila adulti di 140 paesi. Ecco i risultati
Il Global FinLit Survey, il primo rapporto sul livello di cultura finanziaria nel mondo condotta dalla società statunitense Standard & Poor’s su 150 mila adulti di 140 paesi, stima che circa 3,5 miliardi di adulti di tutto il mondo, molti dei quali vivono nei paesi in via di sviluppo, dimostrano una scarsa comprensione dei concetti finanziari di base.
L’importanza dell’educazione finanziaria a livello internazionale è stata ampiamente riconosciuta. “Un pilastro essenziale per la stabilità dei mercati finanziari, affermava l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo, OCSE, già nel 2009. Il motivo è noto. La crisi del marcato statunitense dei mutui sub prime, che ha visto molti consumatori sottoscrivere mutui che non erano alla loro portata, ha dimostrato come la scarsa conoscenza dei fondamentali della finanza abbia portato a scelte non corrette con conseguenze non solo a livello microeconomico ma anche macroeconomico. La necessità di dotare la popolazione di competenze finanziarie è diventata una priorità in tempi in cui i prodotti finanziari sono sempre più sofisticati ed innovativi e la tenuta finanziaria del sistema pensionistico è a rischio.
"L’ignoranza finanziaria comporta costi significativi. I consumatori che non riescono a capire il concetto di interesse composto, spendono di più in costi di transazione, accumulano debiti elevati e sostengono tassi di interesse più alti sui prestiti", scrivono nel rapporto gli autori Leora Klapper, Annamaria Lusardi e Peter von Oudheusden.
I risultati dello studio fanno emergere, ma questo non sorprende più di tanto, un gap di conoscenza tra paesi in via di sviluppo e industrializzati. Non a caso, nei paesi scandinavi, Norvegia, Danimarca e Svezia, al primo posto della classifica dell’educazione finanziaria, il 71 % della popolazione ha dimostrato adeguate competenze finanziarie. In Germania e Olanda il 66% degli intervistati è stato in grado di decidere in modo consapevole quale destinazione dare ai propri risparmi. In Francia e Spagna sono stati rispettivamente il 52% e il 49%. Mentre in fono alla classifica troviamo lo Yemen, l’Albania e l’Afghanistan.
Il confronto internazionale dice anche che gli individui meno abbienti e cosiddetti “non bancabili”, hanno ovviamente scarsa familiarità con nozioni economiche finanziarie, e questo sia nelle economie sviluppate che in quelle emergenti. Un dato che sembra confermare quello che molti esperti di economia ribadiscono da tempo: aprire il sistema finanziario ai poveri del mondo può migliorarne le condizioni di vita. Uno degli ultimi aggiornamenti sull’inclusione finanziaria pubblicato dalla Banca Mondiale dice che tra il 2011 e il 2014 il numero complessivo di adulti che nel mondo non risulta intestatario di un conto corrente bancario si è ridotto del 20%. In Italia. Perché, sempre secondo l’OCSE, essere meno capaci da un punto di vista finanziario significa contribuire poco allo sviluppo economico di un Paese.
Ma le differenze sono anche di genere. Perché se le donne hanno una maggior propensione al risparmio e compiono scelte di investimento più prudenti, si sono dimostrate meno preparate degli uomini sugli argomenti finanziari. Una disparità particolarmente evidente negli Stati Uniti, dove l'alfabetizzazione finanziaria degli uomini è di 10 punti superiore a quello delle donne americane.
Se nel 2012 l’Italia, in base ad un’indagine OCSE, PisA, Programme for International Students Assessment, i tassi di alfabetizzazione erano più che dimezzati rispetto a paesi come Germania, Svizzera, Stati Uniti, ma anche Nuova Zelanda e Australia, lo studio Standard & Poor rivela che oggi la situazione non sembra migliorata. Tra le maggiori economie del mondo, con sistemi democratici di governo, l'Italia ha registrato il livello di cultura finanziaria più basso. Solo il 37% degli intervistati è stato infatti in grado di rispondere correttamente.
Il rapporto è consultabile qui
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