Welfare

L’impronta di Basaglia

Benedetto Saraceno il primo marzo lascerà l'incarico presso l'Oms

di Sara De Carli

Negli ultimi dieci anni è stato l’uomo, erede del maestro triestino, che ha deciso le politiche mondiali su salute mentale e abuso di sostanze. Il suo bilancio Dal primo marzo Benedetto Saraceno lascerà l’Oms. Negli ultimi dieci anni è stato l’uomo che ha deciso le politiche mondiali su salute mentale e abuso di sostanze: dal 1999 infatti Saraceno – psichiatra, genovese, classe 1948 – dirige il dipartimento di Salute mentale e abuso di sostanze dell’Organizzazione mondiale della sanità. Da marzo si farà in quattro, passando una settimana al mese fra Lisbona, Ginevra, Milano e l’Olanda. Sarà infatti direttore di un master in sanità pubblica mentale internazionale dell’Università di Lisbona, docente di psichiatria sociale all’Università di Ginevra, presidente di una ong olandese che si occupa di salute mentale comunitaria e carcere e lavorerà con don Colmegna a Milano al Souq, il centro studi sulla sofferenza urbana legato alla Casa della Carità.
Vita: Come è cambiato l’approccio dell’Oms ai due focus del suo dipartimento?
Benedetto Saraceno: Radicalmente. Per la salute mentale in passato le strategie erano ispirate al modello biomedico, interessate a diagnosi e trattamenti farmacologici, con gli psichiatri al centro. Per dirlo con una parola, da “malattia” siamo passati a “servizi”.
Vita: E per le tossicodipendenze?
Saraceno: Si è affrontata con chiarezza la riduzione del danno, uno dei successi del decennio è che l’Oms ha messo il metadone nella lista dei suoi farmaci essenziali, a sottolineare che la terapia sostitutiva non è una cosa hippy ma una strategia fondamentale di prevenzione della trasmissione delle malattie infettive e di protezione per chi abusa di sostanze. Questi oggi non sono più visti come criminali ma come persone che hanno bisogno di essere curate.
Vita: In questo capitolo c’è anche l’alcol, tema che le sta particolarmente a cuore?
Saraceno: Il problema di sanità pubblica non sono gli alcolizzati, sono i milioni di giovani che una volta alla settimana fanno il binge drinking, si ubriacano e vanno incontro ad incidenti automobilistici gravi e a violenze su se stessi e sugli altri.
Vita: È cambiato anche lo scenario?
Saraceno: I grandi numeri cambiano nei secoli, non negli anni. Quel che è mutato è la risposta: abbiamo moltissimi Paesi che in questo decennio hanno cominciato seriamente a impiantare servizi di salute mentale, riuscendo a diminuire quello spaventoso gap di malati non trattati, o a fare leggi ad hoc.
Vita: Possiamo citarne alcuni?
Saraceno: La Cina, che ha cominciato a trattare l’epilessia nelle comunità. Ma anche Ghana, Lesotho, Sierra Leone, Nigeria, lo Sri Lanka dopo lo tsunami, Gaza e la West Bank, Giordania: qui siamo già riusciti a cambiare le cose. E poi l’America Latina, dove c’è da tempo un movimento autonomo dei Paesi: il Brasile è senza dubbio il Paese all’avanguardia nel mondo per la salute mentale.
Vita: È un caso che ci sia tanta Africa?
Saraceno: No, è il continente dove la situazione è più disastrata, ci sono 0,2 psichiatri per 100mila abitanti. Però la vastità del problema e la povertà delle risorse paradossalmente diventa un aiuto, perché dove non esiste una struttura psichiatrica classica definita, la medicina di base riesce a vicariare meglio con interventi comunitari. Noi non impiantiamo mai servizi psichiatrici tradizionali: portiamo un modello comunitario, human rights oriented, usando le antenne che già esistono nei territori ed educando questi servizi a riconoscere e trattare anche la malattia mentale.
Vita: Quanto conta in questa rivoluzione il fatto che lei sia un italiano e che venga dalle fila dei collaboratori di Basaglia?
Saraceno: Molto. Venire da un’esperienza di riforma come quella italiana, dalla 180, dall’ipotesi realizzata di Basaglia, dall’esperienza triestina ha fatto sì che io abbia portato uno certo sguardo dentro l’Oms. Però ovviamente non sarebbe stata sufficiente la mia personale visione se dall’altra parte non ci fosse stato un sostegno forte di queste idee. Diciamo che un italiano era la persona giusta al momento giusto, ma sia il momento che il luogo erano già orientati verso questa visione.
Vita: Qualche ostacolo l’avrà trovato?
Saraceno: Molti. Il primo è il corporativismo della stessa psichiatria, con gli “eminenti psichiatri universitari” di Paesi in via di sviluppo ostili a un discorso di sanità pubblica che mette in discussione alcuni privilegi. Un secondo ostacolo è l’industria farmaceutica, che non è particolarmente supportiva su modelli di intervento che non hanno il farmaco al centro. E a volte ostacoli di natura politica, perché parlare di diritti umani innervosisce alcuni governi, non tanto per i matti in sé, ma perché si attacca una cultura di controllo.
Vita: L’Italia a che punto è?
Saraceno: In Italia ci sono 19 regioni e quindi 19 riforme. Per dire, tra Friuli Venezia Giulia e Lombardia ci sono anni luce in termini di realizzazione della legge: non ho la percezione che la psichiatria lombarda sia particolarmente innovativa, e lo stesso per l’Emilia Romagna, che ha ancora moltissimi letti. Ora, attenzione: non è vero che l’Italia è omogenea, ma nemmeno che Trieste è l’unico posto dove la riforma è compiuta. Su questo tema però c’è un problema di cui non si parla mai?
Vita: Quale?
Saraceno: Nel 2020, l’80% della popolazione mondiale vivrà in megalopoli e noi abbiamo ancora in mente modelli di psichiatria che funzionano in contesti urbani piccoli o rurali. Parliamo di territorio, comunità, ma cosa vogliono dire queste parole a Mexico City o a New Delhi?
Vita: Passiamo alle tossicodipendenze: la Fini-Giovanardi quindi stride con la vostra impostazione?
Saraceno: Io non la conosco nel dettaglio, ma abbiamo chiara evidenza che le strategie repressive non servono. La depenalizzazione una volta sembrava una cosa bizzarra, adesso è una linea che avanza in tutto il mondo e avanza semplicemente perché si studia l’evidenza scientifica e si vede che la repressione dei pazienti che abusano di sostanze non serve assolutamente a niente. Ripeto, non conosco la legge italiana, ma se è una legge repressiva è una cattiva legge, punto. Tant’è che a marzo 2009 abbiamo firmato un accordo di cooperazione comune con l’Unodc di Vienna che, occupandosi di narcotraffico, ha tradizionalmente una posizione più repressiva: anche questa agenzia ha messo acqua nel suo vino e parla di limitazione del danno, di terapie sostitutive con metadone, di programmi di scambio di aghi puliti.
Vita: Ma c’è una riduzione di consumi?
Saraceno: Sì per le droghe usate per via iniettiva, mentre aumenta il consumo di cocaina e la marijuana resta stabile. Ma non dimentichiamo che per uno che consuma in modo pericoloso queste sostanze, ce ne sono cento che consumano in modo pericoloso l’alcol. Il fuoco è tutto sulle droghe illegali, però la distinzione fra legale e illegale la fanno i ministri, il cervello no.
Vita: Il modello italiano delle comunità vale ancora?
Saraceno: Io non credo alle grandi comunità con grandi leader carismatici, come era stato Muccioli: per qualcuno può aver funzionato, ma come modello mi sembra vecchio.
Vita: Qual è la proposta che sta facendo l’Oms?
Saraceno: Che la struttura di riferimento non deve essere troppo separata, strana, bizzarra ma faccia parte della medicina di base. Ci sono interventi di tipo cognitivo-behaviourista che si possono fare in pochi minuti, dal medico di base, sia per l’alcol sia per le droghe illecite; piccole comunità non repressive, uso di terapie sostitutive. Niente di particolarmente nuovo, salvo che in molti Paesi il tossico è ancora solo uno che va in galera.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA