Improvvisare, anche nel terzo settore, non serve. Occorre professionalità e competenza. Tanto più per il fund raising, che non è proporre uno scambio: somiglia più a un invito, a una proposta di condivisione. Lo sanno bene alla Fund Raising School, promossa dall’associazione Aiccon, che dal 1999 propone corsi e iniziative didattiche per formare fund raiser esperti e consapevoli. Quest’anno l’offerta si articola in una sorta di 2+1. Due corsi base e uno personalizzato. Il primo verte su principi e tecniche del fund raising coordinato da Francesca Zagni (si svolgerà dal 16 al 28 maggio, a Bertinoro); il secondo, avanzato, sul management del fund raising (sempre in due giornate, coordinate, alla metà di giugno, da Mara Garbellini). Quest’anno, come si diceva, la scuola propone un terzo approfondimento personalizzato: sono disponibili quattro opzioni focalizzate sulla raccolta tramite eventi, usando internet, sulla ricerca di volontari e sulle strategie di fund raising per l’impresa sociale.
Un fronte, quest’ultimo, per certi aspetti inatteso. Perché una impresa sociale dovrebbe fare raccolta fondi? «Essenzialmente per trovare risorse dedicate a sperimentazioni e iniziative innovative», risponde Flaviano Zandonai, che coordina la due giorni, «attività che sia i fondi sociali europei che gli enti locali tendono sempre meno a finanziare». Si capisce: in una fase di crisi come l’attuale, si tende a garantire le attività standard, più tradizionali e di base. Dunque ricorrere a un sostegno alternativo potrebbe consentire alle imprese sociali di lanciarsi in nuove avventure. Sono però probabilmente leve diverse da quelle del volontariato, quelle su cui questi soggetti dovranno puntare. «In effetti rispetto ad altri soggetti del non profit», puntualizza Zandonai, «alcune differenze ci sono. Per esempio le imprese sociali hanno finalità simili a quelle di altre organizzazioni prive di lucro, ma modalità anche organizzative diverse. Il che però potrebbe dare loro qualche chance in più». Per esempio? «Si potrebbe lavorare su un aspetto interessante e cioè il possibile coinvolgimento, al di là della donazione, dei possibili finanziatori nel processo produttivo». Come a suggerire che, in una impresa sociale, è possibile persino superare il confine tradizionale tra beneficiario e donatore e immaginare percorsi comuni.
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