Economia

L’impresa investe sui detenuti

Presentatao ad Opera il progetto “Responsabilità Sociale d’Impresa nell’accesso al lavoro delle persone in esecuzione penale”

di Lorenzo Alvaro

La casa di reclusione di Opera, appena fuori Milano, ha aperto le porte per presentare il nuovo progetto di formazione e reinserimento lavorativo “Responsabilità Sociale d’Impresa nell’accesso al lavoro delle persone in esecuzione penale”. Gli attori dell’iniziativa sono tre: la Regione Lombardia, Unioncamere e il sistema carcerario lombardo. La novità non è che si permetta ai detenuti di lavorare né l’aver realizzato dei laboratori all’interno delle strutture di pena. La novità assoluta è che privati, aziende vere e proprie, investano sui detenuti e decidano di aprire progetti imprenditoriali interni a questa realtà. Tante le proposte tra cui, quelle che colpiscono di più, la liuteria, gestita da Elelna Zorzini, una libera professionista, dove una manciata di detenuti realizza violini di livello medio basso (il prezzo varierà da 2 mila a 3 mila) destinati al mercato giapponese e la gelateria Aiscrim dell’azienda Jobinside che invece proponedolci biologici per la grande distribuzione. Altissimo il livello qualitativo e tecnico.
Ma cosa cambia rispetto a prima?
«Mentre una volta il lavoro dipendeva dai finanziamenti disponibili che permettevano al mondo del non profit, associazioni e volontariato, di costruire proposte destinate però a finire, oggi si parla di lavoro vero» spiega Antonella Maiolo, presidente della Commissione speciale sulla situazione carceraria. Le aziende infatti investono sapendo che saranno sgravate dalle imposizioni fiscali per l’80%, come prevede la legge Smuraglia. Non solo, l’impresa conosce le esigenze del mercato, così propone formazione e specializzazione in quei settori per i quali c’è richiesta e che servono all’azienda. Il tutto in un progetto a lungo termine il cui esito, se non è l’assunzione del detenuto nella stessa azienda, sicuramente è la creazione di un lavoratore competitivo e qualificato. «L’unico modo per permettere a questa gente, che per lo più arriva da esperienze di criminalità organizzata, è di dare loro una possibilità diversa dal passato. Il che in altri termini vuol dire dare loro la possibilità di mantenere la propria famiglia senza avere bisogno dell’assistenza della “famiglia” allargata» puntualizza Giacinto Siciliano direttore dell’istituto di pena.
Proprio questo il punto di partenza del progetto: il lavoro strumento del reinserimento nella società.  «In questo progetto siamo arrivati per ultimi, ma siamo stati subito messi in condizione di esprimere le esigenze del mondo imprenditoriale che ha come fine il business», racconta Maria Pia Martini, responsabile politiche di settore di Unioncamere, «A noi interessa fare impresa. Abbiamo trovato il modo di far convivere il bene delle aziende con i bisogni sociali che qui incontriamo. Faciamo impresa, rimanendo competitivi e in linea con il mercato e allo stesso tempo  diamo una possibilità ai detenuti». Non c’è spazio per l’assistenzialismo  insomma.
A Opera ci sono 1.400 detenuti di cui 1.300 con condanne definitive in genere molto lunghe. Ci sono novanta “41bis” e 240 in regime di alta sicurezza. A parte il  cosìdetto “carcere duro” che per ovvi motivi non è contemplato sono ottanta i detenuti  che partecipano al progetto di cui 40 in regime di alta sicurezza. Con il tempo l’iniziativa coinvolgerà sempre una maggior porzione di popolazione carceraria. La Regione Lombardia ha investito nel biennio 2007/08 4 milioni di euro e nel 2008/09 4,5 milioni mentre Unioncamere rispettivamente 30mila e 35mila euro. Cifre non esagerate ma destinate a crescere nei prossimi anni.


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