Economia
L’imprenditoria sociale che guarda alla riforma
Il terzo Rapporto Iris Network, curato da Paolo Venturi e Flaviano Zandonai è dedicato a "L'impresa sociale in Italia. Identità e sviluppo in un quadro di riforma". Un approfondimento con Flaviano Zandonai
Fotografare lo stato dell’arte dell’impresa sociale alla vigilia della riforma del Terzo settore di cui l’impresa sociale è un focus imprescindibile. Questo ha voluto fare il terzo Rapporto Iris Network “L’impresa sociale in Italia. Identità e sviluppo in un quadro di riforma” curato da Paolo Venturi di Aiccon e Flaviano Zandonai (Iris Network), entrambi blogger di Vita.it (Zandonai – Venturi)
Se da un lato l’impresa sociale viene definita una risorsa affidabile in alcuni settori chiave del welfare e un interlocutore importante che nel corso degli anni ha contribuito ad arricchire le forme e i modelli attraverso i quali si esercita una funzione pubblica incardinata sulla Pubblica amministrazione, ma anche su libere iniziative di cittadini che danno corpo alla sussidiarietà, dall’altro spiega Zandonai «abbiamo voluto gettare il cuore oltre l’ostacolo per analizzare anche le potenzialità di questo comparto che con una buona legge potrebbe esplodere, soprattutto in ambito non profit».
Dietro questa affermazione i numeri riportati nel rapporto (in allegato il testo completo), ci sono le 770 unità imprenditoriali costituite ex lege 118/05 cui vanno aggiunte altre 570 imprese non ancora iscritte e poi le cooperative sociali che sono imprese sociali di fatto e che sono 12.500.
«A queste realtà vanno potenzialmente ad aggiungersi le onp che potrebbero diventare impresa sociale, escluse le cooperative sociali, e che sono oltre 82mila. È un potenziale enorme», sottolinea Zandonai che avverte: «Questa è la vera sfida per il governo: o con la riforma intercettano queste potenzialità o se si limita a normare l’esistente non serve a nulla».
Nel rapporto un grafico (pag. 19) mostra anche come potenziale di impresa sociale oltre 61mila imprese del mondo for profit «Questo non vuol dire che siano interessate a divenire imprese sociali, ma sono comunque dei competitor in settori come, per esempio, la sanità e la cultura previsti dalla legge 118/05. Quando dico che abbiamo guardato all’esistente è proprio in questo senso».
L’imprenditoria sociale può divenire un motore di innovazione? «Oggi come oggi non molto» constata Zandonai, che però vede la presenza di progetti, soprattutto in un ambito e da parte di uno specifico mondo: «Nelle attività culturali, soprattutto da parte di realtà non profit che però faticano a trasformare le nuove idee e processi in prodotti imprenditoriali. Ecco, vedo molta fatica nella trasformazione dell’innovazione in imprenditorialità».
E nel settore della sanità? «Vedo molti modelli, buone pratiche che potrebbero evolvere positivamente».
Zandonai è ottimista: «Il bacino c’è, soprattutto, lo ripeto in ambito non profit occorre solo farlo emergere. L’unica avvertenza per i nostri legislatori è quella di evitare di istituzionalizzare quello che già c’è, la sfida è saper cogliere l’imprenditorialità sociale innovativa in nuce».
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