Welfare

L’imprenditore sociale è collettivo?

di Flaviano Zandonai

L’onda della social innovation si alimenta soprattutto di storie individuali grazie anche ad una pubblicistica che le sa raccontare con grande efficacia. Forse perché piacciono le storie con un nome e un cognome, una faccia, una biografia interessante. Ed è invece più complicato fare storytelling quando c’è di mezzo un innovatore collettivo, cha parla al plurale, magari usando codici culturali diversi. Però una parte importante dell’innovazione sociale è anche frutto di processi collettivi, non solo degli insight (e delle risorse) di imprenditori illuminati. Una collega mi ha girato un paper che parla di “collective entrepreneurship”, riferendosi a tutti quei processi imprenditoriali caratterizzati da elevati tassi di fiducia e reputazione tra gli attori coinvolti. Ho fatto un giro a pelo d’acqua nella rete e ho trovato alcune cose interessanti, anche se non ‘è ancora una voce su Wikipedia e prodotti di divulgazione scientifica non se ne vedono. Proverò ad approfondire. Ma scommetto che sarà la next big thingh (come dicono gli anglosassoni) nel gran calderone della social innovation. E se sarà così, ce ne saranno delle belle da raccontare.

17 centesimi al giorno sono troppi?

Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.